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Brasile, i poveri alzano la testa, qualcosa di serio è in movimento

In Brasile la protesta ha un volto nuovo. Non è il paese in recessione che rifiuta misure di austerity, è un paese che, pur crescendo a ritmi vertiginosi, non ha distribuito la ricchezza. In Brasile la rabbia è profonda e non fa sconti nemmeno alla sinistra.
A cura di Antonio Menna
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Quello che succede in Brasile parla anche a noi e racconta una storia nuova. Non è la Grecia stritolata dalla Merkel, o la Spagna schiacciata dall'austerity, o l'Italia contro la Casta. Il Brasile è un Paese che in 10 anni è cresciuto del 4%. Spende, produce, guarda al futuro. Ha un governo di sinistra. Prima Lula, poi Rousseff, partito dei lavoratori. Ma la gente è in rivolta. Un milione di persone, ieri sera, a Rio. 25mila davanti al Parlamento, a Brasilia. 30mila a San Paolo, 15mila a Belo Horizonte. Scontri, disordini, la paura del peggio. Protestano contro grandi e costosi eventi (Mondiali di calcio 2014 e Olimpiadi 2016)? Non solo. Lottano perché la crescita sta arricchendo solo i ricchi e non riduce le distanze con gli ultimi. Si chiama giustizia sociale. I poveri alzano la testa. Vedono pochi mangiare tanto. Non ci stanno più. E' una rabbia profonda, non fa sconti nemmeno alla sinistra, ed è contagiosa. Il mondo si prepari. Qualcosa di serio è in movimento. E ci riguarda.

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Antonio Menna, giornalista, scrittore autore tra gli altri del libro "Se Steve Jobs fosse nato a Napoli".
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