Brandizzo, l’analisi della scatola nera scagiona il macchinista: treno a 160 km/h e semaforo verde
Continuano senza sosta le indagini per far luce sulla strage di Brandizzo, costata la vita il 30 agosto scorso a cinque operai che stavano lavorando alla manutenzione di un tratto di binari nei pressi della stazione della cittadina piemontese. Gli esperti della Procura di Ivrea hanno analizzato la scatola nera del treno che ha travolto e ucciso i dipendenti della Sigifer Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa e Saverio Giuseppe Lombardo. Stando alle prime indiscrezioni fatte trapelare dagli inquirenti sembrerebbe che il convoglio – proveniente da Alessandria – viaggiasse a 160 chilometri orari. Una velocità sostenuta da almeno 30 chilometri prima di arrivare a Brandizzo.
Questo significa che sarebbe stato impossibile per il macchinista che guidava il treno evitare di travolgere gli operai, sebbene il conducente si fosse anche dimostrato reattivo, come dimostrerebbero i segni della frenata, accertati dagli agenti della Polfer, nei giorni immediatamente successivi alla strage. Per tutta la durata della tratta percorsa, il mezzo avrebbe avuto il “semaforo verde”, non sarebbe dunque scattato nessun allarme. Da questi elementi non emergerebbe nessuna responsabilità da parte dei macchinisti, che non a caso non sono mai stati indagati.
Sei indagati per la strage di Brandizzo
Sotto inchiesta da parte della Procura di Ivrea ci sono invece sei persone: i primi due, in ordine di tempo, sono stati il tecnico di Rfi, Antonio Massa, 48 anni, e il caposquadra della Sigifer, Andrea Girardin Gibin, 53 anni. In particolare, Massa avrebbe ammesso davanti ai magistrati di aver dato il via libera ai lavoratori sapendo che la linea non era stata interrotta. Lo scorso 13 settembre a loro due si sono aggiunti nuovi avvisi di garanzia. Nel registro degli indagati sono state iscritte anche altre 4 persone, tra vertici e dirigenti della Sigifer, l'azienda di Borgo Vercelli incaricata di eseguire i lavori di manutenzione per cui lavoravano le vittime. Anche per loro l'ipotesi di reato è omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario.
La tesi dei pm è che lavorare senza il permesso formale fosse stata una prassi per l'azienda e non invece un'eccezione. Da quanto sta emergendo dallo sviluppo delle indagini, infatti, sembra proprio che il caso di Brandizzo non sarebbe stato l'unico. Secondo la procura di Ivrea, in altre occasioni sarebbe capitato che i lavori sui binari cominciassero nonostante il passaggio dei treni non fosse stato interdetto.