Brandizzo, la dirigente ferroviaria ai pm: “Ho detto no ai lavori tre volte, poi schianto in diretta”
“L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno”, così la dirigente movimentazione della stazione di Chivasso avrebbe ribadito davanti ai pm che la notte della tragedia di Brandizzo non vi era nessuna autorizzazione ai lavori sui binari quando un treno ha travolto e ucciso i cinque operai. La 25enne è stata ascoltata come teste chiave ieri in Procura dove è rimasta per ben sette ore, ricostruendo quei momenti che hanno preceduto la tragedia.
La donna ha chiarito tutti i passaggi e le procedure che era chiamata a eseguire durante i lavori. La dirigente movimento, in servizio fra il 30 e il 31 agosto, ha ribadito quello che già era emerso dalle registrazioni delle telefonate intercorse tra la centrale operativa, in cui lei si trovava con un collega, e Antonio Massa, la “scorta ditta” di Rfi alla squadra di operai e ora indagato insieme al caposquadra della ditta Sigifer, Andrea Girardin Gibin. “Gli ho detto di no per tre volte. Di non iniziare i lavori, perché non c’erano le condizioni per dare il via libera” avrebbe riferito la teste chiave ai pubblici ministeri.
Lo schianto in diretta al telefono
La 25enne era in stretto contatto con Massa che le avrebbe chiesto più volte il via libera ai lavori. Nella terza telefonata avrebbe addirittura udito in diretta lo schianto mortale: un rumore fortissimo "come se fosse esploso un grosso petardo, una bomba". Sempre a lei l’uomo si sarebbe rivolto anche subito dopo la tragedia, avvertendola di quanto accaduto sotto i suoi occhi.
L’ipotesi prevalente quindi è che qualcuno non abbia seguito quelle indicazioni portando alla tragedia. Oltre alla dinamica e ai possibili errori umani dietro la tragedia di Brandizzo, la procura di Ivrea sta cercando però di capire anche se l’incidente ferroviario sia stato causato da una prassi non legale ma diffusa: lavorare senza via libera per accorciare i tempi. Questa tesi è sostenuta ad esempio da un ex dipendente della ditta per cui lavoravano i cinque operai morti.
"È già capitato molte volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì, quando sapevamo che un treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro. Dopodiché, prima del passaggio dei convogli ci buttavano fuori dai binari” aveva raccontato l’ex dipendente che ieri è passato in Procura con altri lavoratori per ripetere quei racconti.
Familiari delle vittime di Brandizzo: “Non vogliamo nessun funerale di Stato"
Intanto monta la rabbia dei familiari delle vittime che attendono ancora il via libera per la restituzione delle salme dei loro cari per i funerali. “Non vogliamo nessun funerale di Stato. Li vogliamo seppellire noi”, hanno dichiarato alcuni di loro ieri dopo la manifestazione indetta dai sindacati a Vercelli. Per la restituzione dei corpi servirà ancora molto tempo visto che sarà necessario l’esame del dna. “L'impatto con il treno ha avuto degli effetti che tutti possono immaginare. Anche l'estrazione del Dna è molto complicata" ha confermato l’avvocato dei parenti di Kevin Laganà, il più giovane dei cinque operai deceduti. Tempi lunghi anche per le indagini anche a causa della carenza di personale alla procura di Ivrea, come ha segnalato la stessa procuratrice capo Gabriella Viglione: "Indagini come queste richiedono tempo. E da noi durano anche di più perché siamo in pochi".