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Boston Globe: “Il miglior caffè è a Roma”, snobbata Napoli

Il quotidiano di Boston scrive “Per chi beve caffè, andare a Roma è come per un amante del vino andare a Parigi”. Snobbata Napoli, patria dell’Espresso stretto e cremoso.
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"Per chi beve caffè, andare a Roma è come per un conoscitore della birra andare a Bruxelles o per un amante del vino a Parigi". Scrive così Matt Viser, editorialista della sezione Travel del The Boston Globe, consacrando agli occhi del folto pubblico del giornale a stelle e strisce, la città della Dolce Vita anche come Capitale dell'Espresso. Stupito, meravigliato dalla bontà espressa dal poderoso alimento (scrive di aver assaggiato ben 17 caffè durante la sua permanenza), il giornalista riferisce delle differenze culturali tra gli "americans" e gli "italians", due righe velate sull'impossibilità di esportare un modello Starbucks nel Belpaese (vivaddio!), tazzine più piccole, tempi più veloci di consumo e costi contenuti. "Il caffè a Roma costa meno", scrive Viser.

Caro Boston Globe, le posso offrire un caffè? Non si vuole qui giocare alle rivendicazioni campanilistiche, né tantomeno fare i soliti proclami faziosi, agitando magari i vessilli borbonici al cielo. Tuttavia, da napoletano prima e da giornalista poi, è necessario chiarire alcuni aspetti che potranno essere senz'altro utili a Mr. Matt Viser e, perché no, magari al resto della redazione del Boston Globe e ai suoi lettori. Partiamo proprio dal prezzo: un Espresso a Roma parte dai 0.90 centesimi fino ad 1.30 euro, se consumato al banco. Ci sono alcuni bar a Napoli, rari a dire il vero e per questo gestiti da onesti proprietari, che riescono ancora oggi a tenere un Espresso bloccato sui 70 centesimi di euro. Di contro, un caffè al banco non arriverà mai a costare più di un euro.

A Roma fanno un buon caffè lungo, sull'Espresso meglio restare a Napoli. Ne saprà certo qualcosa il Gran Caffè Gambrinus, storico punto di riferimento della città di Napoli, visto come il salotto del bel mondo cittadino, insignito dai Borbone del prestigioso riconoscimento di "Fornitore della Real Casa", diventando così, già nei suoi primi anni di attività (dal 1860 in poi) la meta preferita di viaggiatori, borghesia cittadina e personaggi illustri. Da Oscar Wilde a Ernest Hemingway fino ai grandi artisti di Napoli, da Totò ad Eduardo, che al caffè napoletano dedicò un monologo in Questi Fantasmi. Ma qual è il segreto dell'Espresso napoletano? Cremoso, dal colore dorato e dal sapore deciso, i chicchi con i quali viene realizzato devono essere rifiniti il giusto perché, se troppo fine, vi ritroverete un caffé bruciato, se poco rifinito, avrete tra le mani una "ciofèca" acquosa e leggera.

"E' tutta una questione d'acqua". Leggenda vuole che il vero segreto del caffè espresso napoletano stia nell'acqua che viene utilizzata. Non c'è un dato scientifico esatto a riguardo, non ci sono i dati Istat o della Coldiretti a parlare, ma più l'esperienza personale, nella quale ogni napoletano sono certo si ritroverà. Provate a realizzare un caffè con le vostre mani, ritornando ai precetti di Eduardo, fatelo con  i migliori ingredienti possibili e le migliori intenzioni, ma fatelo a Napoli. Adesso ripetete l'operazione, con gli stessi ingredienti, cambiando solo città, con relativa acqua del rubinetto. Se li assaggiaste nello stesso momento, notereste subito la differenza. Il primo, buono, corposo e solido, il secondo molto più scialbo, quasi allungato. Alcune credenze popolari vedono l'acqua di Napoli come condizione fondamentale per fare un caffé Espresso napoletano, apprezzabile e secondo tradizione.

L'invito a Matt Viser e al Boston Globe è, dunque, ufficiale. Se ne sentono troppe in questo periodo, come di turisti che mangiano una pizza a Verona, convinti di aver mangiato la migliore del mondo, soltanto perché lo dice una guida. E' d'obbligo allora, l'invito a gustare un buon caffè a Napoli, convinto che possa rovesciare le convinzioni maturate dal giornalista americano, nel suo periodo di studio romano. E non me ne vogliano i cugini capitolini, sono sicuro che avrebbero anche loro da ridire se sentissero parlare, dagli amici americani, "della famosa pajata napoletana".

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