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Opinioni

Bonus Covid, ecco come i grandi studi l’hanno rubato ai giovani avvocati: “Ridimensiona la fattura”

Chi, licenziato in pieno Covid, ha dovuto minacciare il titolare perché voleva liquidargli l’ultima mensilità con il bonus da 600 euro; chi, in gravidanza, si è sentita dire “la tua maternità ci costa” da titolari che anche quest’anno fattureranno due milioni di euro; e chi, grazie al Covid, ha trovato il coraggio di licenziarsi. Queste, alcune storie di avvocati che hanno dovuto lottare per non cadere nel ricatto e nella truffa dei 600 euro ai danni dello Stato.
A cura di Stela Xhunga
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C’è un dibattito in corso che punta a una questione mai del tutto risolta in Italia, quella morale. Il tema è il bonus da 600 euro introdotto ad aprile dal Governo e destinato ai liberi professionisti in difficoltà. Al centro ci sono i cinque deputati che lo avrebbero richiesto e ottenuto nonostante il loro già lauto stipendio parlamentare, ma tre deputati su cinque richiedenti sono un effetto collaterale prevedibile, finanche tollerabile per una norma emergenziale che a tutto può trovare rimedio, meno che alla meschinità endemica, che sempre c’è in ogni ambiente. Tutt’intorno, poi, ci sono miriadi di studi legali che nonostante abbiano lavorato di più durante il Covid-19 per via delle complicazioni legali causate dall’emergenza, hanno messo mano ai bonus destinati ai loro collaboratori. Lo hanno fatto perché i loro collaboratori sono a tutti gli effetti dipendenti senza contratto, subordinati ricattabili, quasi sempre giovani. Queste alcune delle loro storie. L’auspicio è che come sono arrivate ai microfoni di Fanpage.it, possano farsi coro e arrivare sulle scrivanie della Procura Generale Corte dei Conti per danno erariale, non solo in un'interrogazione parlamentare.

Licenziato in pieno Covid, “volevano liquidarmi l’ultima mensilità con il bonus”

"Mi occupo di diritto commerciale, diritto societario e diritto civile". Da marzo 2019 Mattia collaborava con uno studio di Milano di circa 30 persone, a gennaio 2020 gli era arrivato un aumento. "Mi dicevano di iscrivermi all'albo per mandarmi in udienza, perché ero bravo, e così ho fatto. Scrivevo anche articoli accademici, che poi firmavano loro". Poi un giorno, a fine febbraio, dallo studio comunicano che chi viene da fuori città, può lavorare il smart working, e così ha fatto Mattia. "Da quel giorno non ho più visto una pratica. Mi chiedevano di sbrigare faccende burocratiche, di segretariato, ma nessun incarico come avvocato, così fino al 15 marzo, quando, con una mail, mi hanno scritto che non c'erano più i presupposti per proseguire la collaborazione, che si sarebbe interrotta il 31 marzo. Due settimane di preavviso, in pieno Covid. Ho messo da parte l'orgoglio, e ho chiesto loro di mettersi una mano sulla coscienza, di farmi lavorare almeno un altro mese, perché avevo un affitto da pagare, e con due settimane di preavviso, in emergenza Covid, non avrei trovato lavoro nemmeno come cameriere. Di tutta risposta ho ricevuto una mail chilometrica, in cui mi spiegavano con tono saccente che loro potevano licenziarmi, erano nel giusto, perché io ero un lavoratore autonomo". Il 20 marzo Mattia emette la fattura avvisando la segretaria, che nemmeno sapeva del mio licenziamento. Il bonifico tarda ad arrivare. "I primi di aprile mi riscrivono i capi, dicendomi che avevano verificato che potevo accedere al bonus, dunque di riemettere l'ultima fattura decurtata del bonus". Da lì inizia una lunga battaglia: i titolari dello studio spariscono, lo bloccano via Whatsapp, delegano alla segretaria, che non fa che ripetere: "devi ridimensionare la fattura". Mattia è riuscito a farsi pagare per intero lo stipendio solo a fine aprile, dopo avere minacciato una denuncia presso l'Albo e i Carabinieri.

“La tua maternità ci costa”

“Il momento di difficoltà non esisteva, lo studio, con all’attivo circa 25 persone, fatturava più di prima, né i processi rimandati di qualche mese hanno comportato mancati incassi tali da intaccare la liquidità destinata agli stipendi". A parlare è Susanna, avvocatessa ‘monocommittente', vale a dire professionista al servizio di un "cliente" in regime di monopolio. Ora è in maternità, è questo le è costato caro perché per convincerla a richiedere e decurtarsi i 600 euro, il dominus ha fatto leva su questo: sul peso della sua maternità. "La stessa mail della segretaria è arrivata anche agli altri miei colleghi, dunque non era la mia maternità il problema". Dopo un confronto con loro, sale la preoccupazione: "Ma quale ‘sei stato impatto dal Covid’, come recita il modulo, noi non abbiamo subito nessuna limitazione, siamo monocommittenti, se dichiariamo il falso, a una verifica postuma, rischiamo il penale". Ne parlano con il dominus, che ribadisce l’ordine: "prendete i soldi". A opporsi, solo due donne, lei e una collega, che però, dopo il congedo di Susanna, isolata, a maggio cede al ricatto. "In condizioni normali mi sarei battuta per tutti, ma ero in gravidanza, come potevo fare?". Oltre ad avere messo mano sul bonus dello Stato, il titolare dello studio ha eliminato il bonus aziendale, l’extra forfetario che tiene conto degli straordinari e dei clienti portati da ciascun collaboratore durante l’anno precedente. Anche quest’anno, si prevede che il fatturato dello studio toccherà la cifra di 2 milioni di euro.

“Il Covid mi ha dato un coraggio incredibile”

"Ho mandato a quel paese il mio datore di lavoro, non potevo più reggere, non ho studiato per farmi umiliare, ma per aiutare gli umiliati". Edoardo è giovane, ma il suo rapporto con l’ormai ex datore era di lungo corso, con lui aveva infatti svolto il praticantato, gratuito, e per lui aveva continuato a lavorare, senza contratto, con fattura a fine mese. La monocommittenza era implicita, e non avrebbe potuto essere altrimenti: da lunedì a venerdì, dalle 9 alle 18, con straordinari non retribuiti il sabato e la domenica. Il tutto per 500 euro lordi al mese, cui bisognava sottrarre l’Iva e il 4% obbligatorio che ogni avvocato iscritto all’albo deve versare alla Cassa forense per la previdenza. Come lui, altri collaboratori, più o meno giovani, tutti alle stesse condizioni salariali. Quando a marzo Edoardo ha saputo del sussidio, ha tirato un sospiro di sollievo, ma è durato poco. Il lavoro continuava a pieno regime, sia pure in smart working, ma il bonifico mensile del titolare tardava ad arrivare, e così un giorno ha preso coraggio, e si è fatto portavoce di tutti i collaboratori. “Buongiorno Avvocato, non sentendola da qualche giorno, anzitutto mi preme sapere sta. Spero lei e i suoi cari stiate tutti bene. Le scrivo anche a nome di L***, N*****, M****, V****, A******, F********, C******, R******, R***, V******, ci chiedevamo come regolarci con la fattura di marzo”. La risposta, via Whatsapp anziché via posta certificata, non si è fatta attendere: "I compensi sono coperti dal contributo che dovrete richiedere alla Cassa (Forense ndr.) e la cifra del bonus è superiore a quella della solita fattura, ma esentasse. È un periodo difficile per tutti, dobbiamo ridurre i costi. Un caro saluto". Costui, il dominus, ha fama di essere tra i più bravi e impegnati avvocati della Puglia. Edoardo ha interrotto la collaborazione, al momento percepisce il sussidio statale e sta cercando un nuovo lavoro.

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