Bologna, viaggio con i medici a domicilio: “Boom di richieste, ma non lasciamo soli i malati covid”
"Questo è il nostro lavoro: lo abbiamo scelto e lo amiamo molto. Un po' di paura c'è, per la mia famiglia, per mia figlia. Però si va oltre e si pensa ai nostri pazienti che invece hanno bisogno di questo: di essere accolti, assistiti e rassicurati sul fatto che non sono soli. Che non saranno mai soli". Selena Borsarini, 39 anni e una figlia adolescente che ogni giorno aspetta il suo ritorno a casa, è da qualche giorno una delle infermiere dell'assistenza domiciliare dell'Ausl di Bologna incaricata di dare supporto ai medici delle Usca, le unità speciali di continuità assistenziale istituite da marzo con un decreto del Governo che in realtà, affidandone la disciplina alle Regione, aveva previsto almeno 1.200 team sanitari a domicilio per fronteggiare all'emergenza coronavirus, evitando così il sovraffollamento di pronto soccorso ed ospedali. A conti fatti, dopo oltre sei mesi, le Usca in tutta Italia sarebbero però molte meno e non tutte le Regioni hanno raggiunto l'obiettivo di crearne una ogni 50mila abitanti, come previsto a livello centrale. Fra le poche zone del Paese che invece sono riuscite ad attrezzarsi in tal senso, c'è l'Emilia-Romagna, dove attualmente sono attive circa 60 unità speciali (arrivate fino a oltre 80 nel pieno della pandemia) che ogni giorno girano per le città garantendo un grosso aiuto al sistema sanitario locale e nazionale.
Per capire meglio come funzionano, le telecamere di Fanpage.it hanno seguito per una mattinata il lavoro svolto nel poliambulatorio Montebello del capoluogo emiliano, quartiere generale dell'Usca Bologna Ovest. Proprio quello che vede quotidianamente in prima linea Selena. "Ogni giorno quattro medici e un infermiere rispondono alle telefonate dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con richieste di visite domiciliare e valutazione di casi sospetti Covid o Covid accertati -spiega la dottoressa Concetta Randazzo, responsabile del servizio da queste parti-. Dopodichè ci si organizza il lavoro per la valutazione dei parametri per l'identificazione dei casi da inviare al pronto soccorso, per criticità cliniche, oppure per il monitoraggio domiciliare nei giorni successivi".
Mediamente i professionisti di Bologna Ovest (attualmente circa 40 fra medici e infermieri) ricevono fino a 50 telefonate al giorno che poi si trasformano in visite domiciliari, anche se per ogni turno di metà giornata se ne riescono a fare al massimo cinque. Anche perchè non si tratta di visite che si riescono a portare a termine proprio in due minuti. E poi perchè ogni volta, sul pianerottolo o davanti all'ingresso della abitazioni, ci sono tutte le necessarie procedure di vestizione, svestizione e sanificazione di personale sanitario e attrezzature che richiedono del tempo e che vanno soprattutto compiute con la massima attenzione per evitare ulteriori rischi di contagio. Da via Montebello, inoltre, partono ogni mattina quattro vetture attrezzate con medici, infermieri, strumenti e tamponi che coprono tutto il territorio ad ovest del centro cittadino, più la zona del vicino comune di Casalecchio di Reno. "Nell'ultimo mese il carico di lavoro è sicuramente aumentato e forse è un po' scesa l'età media, anche se sicuramente andiamo sia da giovani che da anziani" racconta invece Giulia Giorgi, 27enne medico in unità speciale fin dalla prima ondata.
Dopo ogni chiamata col medico di base che ha fatto la segnalazione (e che rimane costantemente coinvolto nell'evolversi della situazione), prima di intervenire a domicilio viene inoltre contattato il paziente per un ulteriore controllo sulle sue condizioni di salute e per chiedere alcune accortezze prima della visita, ad esempio far arieggiare gli ambienti o preparare un piano disinfettato per le attrezzature. Se necessario, viene anche effettuato il tampone, che poi giunge in laboratorio entro le 24 ore, mentre se ci si trova davanti ad un caso particolarmente grave, anche già dal riscontro telefonico, viene subito allertato pure il 118. "Paura? Qualche rischio in più c'è sicuramente -conclude la dottoressa Giorgi- però il nostro lavoro è questo. Si sa a cosa possiamo andare incontro".