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Covid 19

Bologna, dentro la terapia intensiva Covid: “Ora i parenti possono vedere i pazienti”

Fino a qualche settimana fa non aveva malati di Covid, mentre adesso, su 34 posti disponibili, 24 sono occupati da pazienti attaccati a dei respiratori. Ecco la situazione nell’hub per la terapia intensiva, inserito nella rete nazionale, dell’Ospedale Maggiore di Bologna. All’interno del reparto, al dodicesimo piano, è stato creato un sistema che consente, diversamente dai mesi più duri dell’epidemia in Italia, visite dei parenti e maggiori accorgimenti per evitare occasioni di contagio.
A cura di Beppe Facchini
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"Noi qui siamo stati preparati, ci hanno dato la tecnologia e le risorse e stiamo lavorando comunque tanto perchè si tratta di pazienti impegnativi. Ma la vera battaglia la fanno i cittadini. E il messaggio che si può portare è che tutte le volte che qualcuno possa pensare che questa sia una favola, si facesse un giro qui dentro per capire che in realtà una favola non è". Firmato Nicola Cilloni, responsabile dell'area critica di terapia intensiva all'Ospedale Maggiore di Bologna, dove a inizio giugno, alla presenza anche del ministro della salute, Roberto Speranza, è stato inaugurato uno degli hub della rete nazionale proprio per la terapia intensiva (oltre 160 i posti letto in tutte le strutture dell'Emilia-Romagna rientranti nel progetto) per far fronte, attraverso macchinari di ultima generazione, all'emergenza Covid-19.

"La battaglia va vinta fuori per evitare che il sistema, per quanto potenziato e preparato, vada al collasso" ribadisce Cilloni, facendo strada anche alle telecamere di Fanpage.it all'interno della nuova struttura sanitaria, al dodicesimo piano dell'ospedale bolognese. "Questo reparto è stato costruito smantellando completamente uno di ortopedia -spiega- e in quaranta giorni è stato creato tutto". A renderlo ulteriormente innovativo è il fatto che sia stato creato un sistema, tramite ricircolo d'aria e pressioni termiche, in grado di dividere il reparto in zona contaminata e zona senza rischi, definita "bolla". Attraverso un vetro i medici possono gestire e seguire i pazienti ricoverati (attualmente 27 su 34 posti disponibili, con 24 di loro attaccati a respiratori) comunicando fra di loro via radio, dando inoltre la possibilità anche ai pazienti di poter essere vicini ai propri cari, a differenza di quanto tragicamente accaduto nei mesi più duri della pandemia. "Nella bolla non è necessario avere l'abbigliamento apposito – aggiunge il dottor Cilloni -. Tutti ci ricordiamo quel brutto periodo che abbiamo attraversato a marzo, sono stati portati via pazienti che poi i parenti non hanno più visto". "Quello che stiamo cercando di fare -dice invece la dottoressa Elisa Righini, psicologa dell'area critica- è che nelle situazioni dove purtroppo si è arrivati al punto che non c'è più niente da fare, i parenti possono essere, se chiaramente se la sentono, vestiti e accompagnati dentro per trascorrere insieme al loro caro un ultimo momento. E questo, anche per l'elaborazione del lutto, è molto importante".

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Anche a Bologna, come in altre zone del Paese, i casi di contagio da coronavirus stanno aumentando e stanno andando ad ingrossare gli elenchi di chi necessita di ricoveri in terapia intensiva, tanto che Cilloni afferma, riguardo l'hub, che "fino a venti giorni fa non aveva pazienti Covid, ma veniva utilizzato per altri motivi, perché lasciare questi spazi inutilizzati non avrebbe avuto senso". Oggi le cose sono cambiate, ma rimane importante non abbassare la guardia nonostante il quadro della situazione non è la stessa di qualche mese fa. "A marzo ci siamo trovati di fronte a un'ondata non prevista -dice ancora il responsabile dell'area critica- mentre ora la situazione è diversa. Sicuramente si vedono pazienti ricoverati anche con età ben più bassa, ma la differenza è che adesso li stiamo andando a cercare, per fortuna". C'è più attenzione nel tracciamento di positivi per provare a fermare l'epidemia, insomma. In altre parole, più di qualcosa è cambiato nella lotta al virus rispetto a quando il Covid-19 si è abbattuto anche sull'Italia, ma rimane quasi un senso di "malincuore", per usare le parole del medico. "Malincuore pensando che fuori questa cosa poteva essere, con un po' di senso civico, forse, sicuramente ridotta" conclude Cilloni. "Bisogna lavorare tutti insieme -è il suo appello finale-: noi qui curiamo i pazienti, ma i pazienti si ammalano fuori".

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