Beatificazione Rosario Livatino, il supertestimone Piero Nava: “Quel giorno sono morto anch’io”
Da oggi domenica 9 maggio, con una cerimonia nella sua Agrigento, Rosario Angelo Livatino è beato. Il giudice ucciso a 38 anni dalla mafia della ‘Stidda‘ il 21 settembre 1990 è stato riconosciuto dalla Congregazione delle Cause dei Santi martire perché il delitto avvenne "in odio alla fede". In tanti lo ricordano in questo giorno speciale: dal cardinale Marcello Semeraro che ha celebrato la beatificazione al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho che ha definito Livatino "un magistrato modello al quale tutti i magistrati, soprattutto in un momento come questo, dovrebbero fare riferimento".
Tra queste però c'è una persona che ha assistito alla cerimonia da lontano, da una località segreta sotto falso nome. Eppure solo lui potrebbe raccontare di quel martirio, perché Piero Nava è stato l'unico a vedere tutto. A decidere il suo destino è stata quella mattina di settembre di 31 anni fa: stava percorrendo l'autostrada Canicattì-Agrigento quando buca una gomma dell'auto ed è costretto a rallentare. Quello che accadde dopo è questione di attimi: due uomini in moto lo sorpassano, riesce a guardarli bene in faccia. Li vedrà di nuovo pochi metri più in là: uno di questi impugna la pistola e spara a un uomo. Da allora la sua vita cambia: Pietro Nava per il resto della sua vita sarà il super testimone dell'omicidio Livatino.
Nava: Sono un uomo senza storia
"Sono un uomo senza storia, la mia storia si è chiusa quel giorno", si racconta a Fanpage.it Nava. "Andavo a lavorare, non sapevo neanche chi era Livatino. Lui ci ha rimesso la vita, ma da allora sono morto anche io. Perché tutto quello che avevi non ce l'hai più da un giorno con l'altro". Nava però non ha dubbi: "In questo caso non hai scelta, non puoi che testimoniare". Oggi, così come tutti i giorni della sua vita, gli scorrono davanti quei pochi attimi che hanno cambiato per sempre la sua vita: "Ero in Sicilia a fare il mio lavoro. Mi sorpassa una moto con due ragazzi, quasi mi urtano la macchina. Ho notato subito che avevano la targa coperta con il nastro". E poi continua: "Un paio di curve dopo vedo una macchina rossa con il vetro rotto, davanti la moto di pochi secondi prima. Vedo qualcosa di azzurro che corre nel campo e qualcuno che lo insegue con la pistola. Ho chiamato subito la polizia e ho raccontato tutto". Non ha esitato neanche un attimo Nava nel testimoniare. Quello che non poteva sapere è che una volta finita la deposizione non poteva salutare e tornare a casa. "Mi hanno chiesto dove stavo andando. Mi hanno detto che la vittima era un giudice. Da quel momento è iniziata la mia vita sotto scorta. Non avevo capito che il mio mondo era appena stato stravolto".
Nava: I miei figli hanno cambiato cinque cognomi
Una notte, insieme alla famiglia, Nava afferra quello che può e si trasferisce nella prima località segreta, la prima di altre otto in giro per l'Italia e l'estero. "Abbiamo fatto una vita tenendo sempre solo pochi contatti umani. Perché non potevo non rispondere alle domande. Gli unici amici erano i ragazzi della scorta". I suoi due figli cambiano cinque cognomi: "Erano piccoli eppure hanno capito tutto. Non si sono mai traditi". Con il passare degli anni Nava vede sempre meno i suoi figli. "Non sono andato neanche al matrimonio di mia figlia per evitare domande. Sono un personaggio scomodo. Mia sorella l'ho vista di nascosto un giorno a Bolzano, ero molto legato a lei. La mia famiglia però non mi ha mai criticato". Tutti hanno capito che testimoniare era l'unica strada possibile: "Non riesco a immaginare la mia vita se non l'avessi fatto. Per questo testimonierei ancora: quando vedi quello che ho visto io, non hai scelta. Non avrei mai potuto alzarmi la mattina in un albergo e leggere sul giornale che non c'erano stati testimoni. Avrei perso il rispetto di me stesso". Anche se ora "io sono nessuno", come titola anche il suo libro autobiografico.