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Opinioni

“Basta schiaffi dalle farmaceutiche, l’Ue chieda moratoria sui brevetti dei vaccini anti Covid-19”

Vittorio Agnoletto, promotore della campagna europea “Diritto alla Cura. Nessun Profitto sulla Pandemia” a Fanpage.it: “Ci siamo consegnati ai big pharma, un Paese in pandemia ha il diritto di scavalcare i brevetti e produrre i farmaci pensando poi a un risarcimento alle case farmaceutiche rispetto ai prezzi di costo, lo ha fatto Nelson Mandela, cosa aspetta l’Europa?”.
Intervista a Prof. Vittorio Agnoletto
promotore della campagna europea "Diritto alla Cura. Nessun Profitto sulla Pandemia"
A cura di Stela Xhunga
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"Nella storia umana non c’è problema senza soluzione. Il tempo della risposta a volte tarda e ci fa spazientire. Ma arriva". Con queste parole Luiz Inacio Lula da Silva, ex presidente del Brasile, ha iniziato la prefazione di "Senza respiro", l’inchiesta libro di Vittorio Agnoletto sulla pandemia da Coronavirus. Medico, professore all’Università degli Studi di Milano, dove insegna "Globalizzazione e Politiche della Salute", ex parlamentare europeo, tra i fondatori della Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, Vittorio Agnoletti sta portando avanti la Campagna Europea Diritto alla Cura. Nessun Profitto sulla Pandemia – Right2Cure #NoprofitOnPandemic per chiedere all’Unione europea una moratoria temporanea sui brevetti dei vaccini e dei farmaci anti Covid-19, così da accelerare la vaccinazione mondiale e fermare la pandemia. L’1 e 2 marzo c’è stato il Consiglio generale dell’OMC (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) ma si è deciso di non decidere. Oggi, 11 marzo, la proposta verrà ridiscussa al Consiglio TRIPs (Accordo sui diritti di proprietà intellettuale) dell’OMC. Una proposta di buon senso, persino banale, che tuttavia si scontra con gli interessi delle multinazionali farmaceutiche, i big pharma. Ma una via c’è, si chiama clausola di salvaguardia, ed è un "regalo" di Nelson Mandela.

"O i brevetti, o la vita!" recita lo slogan della vostra campagna, peccato che i brevetti dei vaccini realizzati dalle case farmaceutiche con i soldi pubblici siano siglati da contratti blindati.

La tutela dei brevetti non deve mai costituire un impedimento ai governi a tutelare la salute dei propri cittadini, e questo non lo dico io, lo dice la Dichiarazione di Doha sull'Accordo TRIPS e la salute pubblica del 2001, dopo la battaglia iniziata nel 1997 da Nelson Mandela, allora presidente del Sudafrica, prima denunciato e portato davanti al tribunale interno dell’OMC da 39 multinazionali farmaceutiche perché aveva invitato le aziende sudafricane a produrre i farmaci sfruttando i brevetti; quattro anni dopo le multinazionali ritirarono le denunce e avviarono un confronto con il governo sudafricano. È con Mandela e con le migliaia di morti per Aids che vengono rilanciate le clausole di salvaguardia, tra cui quella della licenza obbligatoria: Un Paese in difficoltà economica o in pandemia ha il diritto di scavalcare i brevetti e produrre i farmaci pensando poi a un risarcimento rispetto ai prezzi di costo.

Si capisce perché la richiesta di moratoria sia partita dal Sudafrica. Un altro Paese che chiede la moratoria è l’India. Perché proprio l’India?

In India la difesa dei farmaci come bene comune è una storia lunghissima e radicata con un forte attivismo. Dobbiamo tornare a Gandhi. L’Inghilterra imponeva all’India l’acquisto dei farmaci solo dall’Inghilterra, dotarsi di proprie aziende farmaceutiche fu decisivo per l’indipendenza nazionale. E poi l’India è la farmacia dei poveri, ha sempre esportato farmaci a prezzi bassissimi nel Sud del mondo, anche perché fino all’ingresso nell’OMC nel Paese non esistevano i brevetti. Nel 2005 il Paese ha dovuto adeguare la legge sui farmaci e fu introdotta una carta etica stringente, per cui, ad esempio, non può essere brevettato nessun prodotto e nessun principio già in commercio o già contenuto in un farmaco e si dà la possibilità alle associazioni di ricorrere alla corte indiana per bloccare un brevetto se lo si ritiene iniquo e in contrasto con i punti etici. L’India ha avuto diverse cause contro le multinazionali farmaceutiche e ha sempre vinto.

Quindi i big pharma non sono poi così imbattibili, si può vincere.

Si può vincere, ma da sempre l’Ue ha fatto gli interessi dei big pharma o comunque ha cercato di non scontrarcisi.

Perché i big pharma fanno tanta paura?

Le aziende farmaceutiche sono il secondo settore con distribuzione dei dividendi tra i propri azionisti dopo l’industria delle armi sia a Wall Street che alla City. Per capire il peso che hanno, da vent’anni anni finanziano le campagne elettorali per la presidenza di ambedue i concorrenti. Investono più in attività promozionali che nella ricerca. Di fatto sono lobby.

Ci faccia qualche esempio concreto di azione lobbistica. 

Posso raccontare la mia esperienza di quando ero parlamentare europeo e si doveva discutere una risoluzione che recepiva una decisione dell’Ema (ndr. l’Agenzia Europea sul farmaco). Eravamo uniti nel dire: "care aziende farmaceutiche, se volete farmi utilizzare un farmaco su un minore, non potete fare una ricerca solo sugli adulti e poi dire che basta somministrare metà dose al bambino. Dovete coinvolgere i minori anche nei trial e nelle sperimentazioni". La questione sembrava chiusa, doveva solo essere ratificata. Ebbene, ogni giorno mi arrivavano decide di mail dai big pharma. Poi arrivarono gli inviti al ristorante, poi gli aperitivi nei giorni antecedenti al voto, con tanto di graziose hostess che si presentavano alle 8,15 di mattina in ufficio per discuterne. Tutti i parlamentari sono stati avvicinati da questo tipo di attività promozionali, risultato: dai 470 voti iniziali non siamo arrivati neanche a 100. Non parlo di soldi e bustarelle, parlo di capacità lobbistica enorme.

In questi giorni si parla della possibilità di riconvertire aziende nazionali per accelerare la produzione di vaccini. Non le sembra una buona cosa? 

Tutta la messa in scena è fumogeno: l'ipotesi che la Commissione europea si inginocchi ai big pharma e chieda a loro di fare accordi commerciali con alcune proprie aziende nazionali per aumentare la quantità di vaccini prodotti equivale a lasciare comunque ai big pharma il monopolio e tutto il potere decisionale. Noi siamo per la socializzazione del know-how così che ogni azienda farmaceutica, piccola o grande, possa produrre i vaccini. Solo dopo questo step avrebbe  senso che gli Stati intervengano riconvertendo altre aziende.

Professore, davvero con le nostre università e poli di ricerca non ce l’avremmo mai fatta a trovare il vaccino?

Non lo so, so che stiamo pagando lo smantellamento di tutte le industrie farmaceutiche e lo scotto di avere lasciato tutta la gestione dei farmaci a un mercato privato fortemente centralizzato. Ci siamo consegnati mani e piedi ai big pharma, invece guardando al rischio di future e quasi certe pandemie dobbiamo pensare a un grande progetto per un’industria farmaceutica pubblica ed europea. Sconfiggeremmo le pandemie ma pure le cosiddette "neglected diseases", le malattie dimenticate che colpiscono settori sociali più deboli e per cui non si fa ricerca perché non c'è mercato. Si è chiesta come mai non c’è il vaccino anti Covid-19 per i bambini?

Confesso che no. Immagino però che lei abbia una risposta.   

La ricerca per i vaccini sui bambini la sta facendo solo Cuba, il resto dei vaccini usciti dalle case farmaceutiche possono essere somministrati dai 16 anni e dai 18 anni in su, eppure sappiamo che i bambini, anche da asintomatici, sono veicolo di contagio. Il punto è che il mercato dei bambini è ridottissimo nella società che conta economicamente, cioè in quella occidentale.

Perché in Occidente non si fanno bambini, giusto.

È un esempio laterale che però mostra come tutto è fatto in base al profitto.

Come commenta l’accusa che il giornale francese "Le Monde" ha mosso a Mario Draghi rispetto alla sua decisione in Consiglio europeo di rimandare l'invio di 13 milioni di vaccini in Africa per "problemi di credibilità"?

C’è un elemento di clamorosa ignoranza. Perché una pandemia di questo tipo, se tu non la blocchi a livello globale, ti ritorna in casa e la questione delle varianti ne è la dimostrazione. Il virus va bloccato subito, ovunque, perché rimandare significa aprirsi alla possibilità di varianti. Questa posizione di Draghi è da un lato il simbolo del neoliberismo e dall'altro subalterna ai populismi. Ma è una posizione controproducente, ignorante, perché se gli inglesi dicono ‘prima gli inglesi', Astrazeneca rimane lì, se gli americani dicono ‘prima gli americani', Pfizer rimane lì. Pensiamo a Trump, quando tra giugno e luglio 2020 si giocava le elezioni: si è pre-acquistato tutte le dosi di Remdesivir del 2020, lasciando a secco molti ospedali, tra cui quelli italiani. E badi che non lo ha tolto agli africani, ma ai propri alleati, perché un farmaco così costoso ce lo possiamo permettere noi. Purtroppo ci sarà sempre qualcuno che pensa di vincere momentaneamente, ma non sa a cosa andrà incontro.

Crede che si arriverà presto all'immunità di gregge?

Finché non si chiarisce l'efficacia dei vaccini, no. Del resto un cittadino normale cosa capisce quando legge "90% di efficacia"? Che grazie al vaccino ha il 90% di possibilità di non contrarre il virus. Ma non è così. Il vaccino impedisce che l'infezione degeneri, che è cosa diversa dal non contrarre il virus. In sostanza il vaccino blocca la malattia, ma non sappiamo se blocchi la trasmissione e il contagio. Queste sono ricerche iniziate 20 giorni fa da Astrazeneca, col vaccino già in commercio. Con ciò non voglio essere frainteso, il vaccino è utilissimo, dico solo che se a condurre la ricerca fosse stata un’azienda pubblica, l'efficacia sul contagio e la trasmissione sarebbe stata fatta subito.

Quindi si potrebbe avere periodicamente bisogno di nuovi vaccini. 

Esatto.

Si pecca di malizia a pensare che le case farmaceutiche, comprese quelle che hanno scoperto gli attuali vaccini con finanziamenti pubblici, puntino affinché si abbia periodicamente bisogno di nuovi vaccini? 

Qui stiamo facendo un corso universitario accelerato… Tempo fa l’agenzia delle Nazioni Unite fece un comunicato durissimo contro le case farmaceutiche dicendo "non state investendo più nella ricerca sul vaccino contro l'Aids perché economicamente a voi conviene tenere in terapia tutta la vita le persone sieropositive in Occidente". E infatti se va a vedere i bilanci delle case farmaceutiche, le ricerche sui vaccini sono irrisorie rispetto ai farmaci. Nel 2017 la Commissione europea aveva chiesto ai big pharma di sviluppare la ricerca sui vaccini, perché l’Ue si preoccupava – e questo bisogna riconoscerglielo – di una possibile pandemia, perché loro hanno sempre investito molto poco. Ma big pharma ha fatto orecchi da mercante. Da un punto di vista di chi vive sulle patologie è chiaro che piuttosto che eradicare definitivamente può convenire impegnarsi ogni anno a produrre un nuovo vaccino contro un ceppo virale modificato o differente. E torniamo al fatto che uno Stato, invece, ha un interesse diverso.

È ottimista o pessimista sull'esito della discussione di oggi sulla possibilità di una moratoria? 

Sono pessimista. Su questa vicenda non c’è mai stato un accenno, un distinguo, un tentativo di mettere in discussione i meccanismi, ci sono solo state proteste se non arrivavano le dosi, sia nella politica nazionale  che a livello europeo. Sono pessimista, ma se riusciamo a sollevare una consapevolezza e un'indignazione popolare, lo spazio per intervenire sul governo c'è. Non chiediamo di cancellare per l’eternità i brevetti né di bruciare i big pharma, la nostra è una battaglia di buonsenso: rendere pubblici i contratti, attivare le clausole di salvaguardia, introdurre una moratoria temporanea sui brevetti, in sostanza, trovare equilibrio tra profitti, che in un libero mercato hanno una loro legittimità, e il principio di salvare vite umane.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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