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La Basilicata dei veleni (REPORTAGE)

Parla il tenente della polizia provinciale di Potenza che aveva svelato l’inquinamento delle acque nella Val d’Agri: il racconto agghiacciante della devastazione di un territorio.
A cura di Antonio Musella
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Una regione in continuo spopolamento dove gli emigranti sono più dei residenti. Un luogo ideale dove occultare veleni e gestire gli scarti industriali senza il timore di essere visti da occhi indiscreti. I veleni della Basilicata finiscono raramente sotto i riflettori. Giuseppe Di Bello è un tenente della polizia provinciale di Potenza che da privato cittadino aveva svolto indagini sull'inquinamento delle acque del bacino idrico del Pertusillo in Val d'Agri. Da quelle analisi sono emersi valori pericolosi: arsenico, bario, cadmio, alluminio ed altri metalli pesanti erano presenti nelle acque in grandi quantità. L'allora assessore all'ambiente della Regione Basilicata Vincenzo Santochirico prima per procurato allarme, poi quando dopo poche settimane si registrò una incredibile moria di pesci nel bacino che allertò le istituzioni, per rivelazione di segreto d'ufficio. Proprio nei pressi del bacino del Pertusillo c'è un centro olii dell'Eni per la desulfurizzazione del petrolio estratto in tutta la Basilicata. Il tenente Di Bello è stato condannato in primo e secondo grado e sospeso per tre mesi dal servizio senza paga. Dopo il suo reintegro non è mai piu' tornato a dirigere la polizia provinciale di Potenza.

Ma sono tante le storie di veleni in Lucania e spesso chi deve controllare diventa complice dello scempio. I vertici dell'ARPAB sono stati arrestati per aver occultati per dieci anni i dati relativi all'inquinamento dei terreni intorno all'inceneritore La Fenice di San Nicola Melfi, in provincia di Potenza, avvelenati da metalli pesanti e diossine.
Ma il sito che desta maggiore preoccupazione è quello dell'area ex Liquichimica dell'area industriale di Tito vicino Potenza. Una ex fabbrica di fertilizzanti chiusa nel 1984. Un area di 59 mila metri quadrati dove migliaia di tonnellate di fosfogessi, materiali nocivi che venivano utilizzati per la produzione di fertilizzanti, sono state interrate nell'area delle vasche di decantazione delle acque usate nell'impianto ormai chiuso. Le analisi svolge nel 2001 già segnalavano il pericoloso inquinamento delle acque di falda che inquinavano anche i fiumi circostanti l'area. Ma solo nel 2013 l'agenzia regionale per l'ambiente della Basilicata ha certificato l'inquinamento delle acque. Ci sono voluti dodici anni prima di avviare a bonifica il sito. Il CIPE ha stanziato 23,3 milioni di euro per la bonifica dell'area, che devono essere impegnati entro il 31 dicembre 2013 e spesi entri il 2015 pena la revoca del finanziamento. Al momento nell'area ex Liquichimica tutto è fermo.

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