Bari, palazzo della morte: “Moglie e figlio malati di tumore per i roghi tossici delle discariche”
“Abito in questa palazzina con la mia famiglia dall’86. Mio figlio ha avuto il linfoma di non Hodgkin e mia moglie un tumore alla tiroide. Entrambe le malattie sono state causate dall’esposizione ai fumi tossici provenienti dalla ex discarica qui vicino”. La famiglia di Carlo (nome di fantasia), 70 anni, ha provato sulla sua pelle cosa significa abitare nella “palazzina dei tumori”, nome con cui è tristemente noto alle cronache lo stabile di via Archimede 16 a Japigia, quartiere periferico di Bari. Negli ultimi vent’anni, 29 inquilini si sono ammalati di neoplasie rare e 14 di loro sono morti a causa delle sostanze tossiche disperse nell’aria dai roghi della ex discarica comunale Caldarola, distante pochi metri dallo stabile. L’area era stata dismessa nel '71 ma bonificata solo nel '99, venendo utilizzata nel frattempo come deposito e luogo di smaltimento illegale di rifiuti.
Una vicenda giudiziaria cominciata quattro anni fa, quando la Procura di Bari ha aperto un’indagine d’ufficio e l’Arpa ha eseguito un’indagine epidemiologica che ha dimostrato la correlazione tra la discarica e i problemi di salute degli inquilini. Il 17 novembre scorso l'ex sindaco barese Francesco De Lucia, unico imputato nel processo, è stato rinviato a giudizio con l'accusa di “morte come conseguenza di altro delitto” poiché nell'82 avrebbe assegnato gli alloggi della palazzina popolare omettendo i controlli sulla mancanza di abitabilità. De Lucia sarà processato a partire dal 21 dicembre prossimo per i tre decessi avvenuti tra il 2016 e il 2019, mentre gli altri sono ormai caduti in prescrizione.
Un inquilino della palazzina ha un rischio quadruplicato di contrarre una neoplasia a causa delle diossine
“Quindici anni fa mia moglie si è ammalata di tumore alla tiroide: gliel’hanno dovuta asportare. Poi dieci anni fa è stato il turno di mio figlio, che all’epoca aveva 36 anni: gli è stato diagnosticato il linfoma di non Hodgkin. Fortunatamente, ha fatto la chemioterapia ed è guarito. Cerchiamo di guardare al futuro ma il danno è fatto”, racconta amaramente Carlo a Fanpage.it. “Dagli anni ’90 in poi nel nostro condominio si sono susseguite decine di diagnosi di neoplasie, alcune molto rare: tumori all’ipofisi, ai polmoni, al cervello, al pancreas, ai reni. È un bollettino di guerra. Nel 2016 noi inquilini ci siamo riuniti e abbiamo creato il Comitato Archimede 16 per cercare di far luce sulla terribile situazione che si era creata. Abbiamo inviato diverse richieste di chiarimenti all’ente proprietario della palazzina, Arca, che gestisce le case popolari di Bari, al Comune e alla Regione. Non abbiamo ricevuto nessuna risposta, finché poi non è stata aperta l’indagine di ufficio”.
L’indagine epidemiologica di Arpa ha quindi confermato che queste numerose neoplasie sono dovute all’esposizione pluriennale ai “fumi di combustione di diversa natura” provenienti dai roghi della vicina discarica di Caldarola. Sulla facciata del civico 16 sono state infatti rilevate altissime quantità di diossina OCDD e altri composti tossici. Secondo lo studio, un abitante di questo condominio è sottoposto a un rischio quattro volte superiore di contrarre una neoplasia rispetto a un altro abitante di Bari. Un dato drammatico, uguale a quello riscontrato nella Terra dei Fuochi campana.
"Istituzioni assenti: nessuna indagine epidemiologica sulle altre palazzine intorno alla discarica"
“Com’è emerso dalle indagini, le istituzioni non avrebbero mai dovuto lasciare che lo stabile venisse costruito a pochi metri da una discarica a cielo aperto. Questo è il punto che vogliamo sia chiaro all’opinione pubblica, al netto del coinvolgimento dell’ex sindaco la cui colpa è stata quella di aver assegnato gli alloggi nell’82”, dice a Fanpage.it Licia Magliocchi, 44 anni, portavoce del Comitato Archimede 16. “Nonostante il clamore mediatico intorno a questa vicenda, le istituzioni non hanno dimostrato nessuna vicinanza agli inquilini. Soltanto nel novembre 2018, il presidente della regione Michele Emiliano fece la vaga promessa di un “accesso rapido e privilegiato” per i residenti dello stabile a uno screening oncologico presso l’istituto Giovanni Paolo II. Poi però, nella pratica, non abbiamo ricevuto nessuna convocazione e nessuno si è messo in contatto con i nostri legali, Michele Laforgia e Stefano Starita”.
“Oltretutto, anche dopo che il nostro caso è venuto alla luce, le istituzioni non hanno condotto nessuna indagine epidemiologica nei dintorni, neppure sulle altre palazzine di via Archimede, altrettanto vicine alla discarica Caldarola. Quindi non possiamo escludere che in futuro possano verificarsi dei casi simili. Com’è stato dimostrato dall’indagine dell’Arpa, i danni provocati dall’esposizione alla diossina si manifestano anche dopo 30/40 anni: persone oggi sane potrebbero ammalarsi in futuro”.
La Terra dei Fuochi nelle periferie di Bari: "Esalazioni di gomma e plastica bruciata: l'aria è irrespirabile"
Ma la “palazzina dei tumori” di via Archimede è solo la punta dell’iceberg di una gravissima mancanza di tutela della salute pubblica nelle zone periferiche di Bari, che si sono trasformate in una Terra dei Fuochi. Le discariche abusive e i conseguenti roghi sono infatti all’ordine del giorno in quartieri come Japigia, Carbonara, Modugno, e Triggiano.
“Abito a Japigia da nove anni ed è stato un continuo crescendo di nuvole di fumo nero, esalazioni di gas, gomma bruciata, plastica e spazzatura”, racconta a Fanpage.it Monica, 56 anni. “Bisogna tenere quasi sempre le finestre chiuse, anche d’estate, perché non si respira. I rangers trovano di tutto nei campi: residui tossici, eternit, pneumatici, frigo, materassi. Ma la loro attività si riduce sempre più perché molti di loro hanno ricevute minacce da ignoti. Abbiamo anche fatto diverse assemblee per discutere il problema dei roghi, durante una delle quali era presente anche Pietro Petruzzelli, l’Assessore all’Ambiente di Bari. Sono state dette le solite frasi di circostanza ma niente di concreto: le istituzioni sono completamente assenti. Quando abbiamo proposto di installare telecamere o droni sui luoghi interessati e di far presenziare più spesso le forze di polizia è stato fatto qualche passo avanti per poco tempo, poi è finito tutto in un nulla di fatto. Gli abitanti di queste zone non ce la fanno più: sono completamente rassegnati”.