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Bambini crocifissi: foto shock. Ma il fine giustifica i mezzi

L’artista cubano Erik Ravelo fotografa bambini in croce per la sua ultima campagna di comunicazione sociale in difesa dell’infanzia.
A cura di Gabriella Valente
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Sette crocifissioni contemporanee. Sette bambini in croce. Sette croci umane. Ogni piccola vittima crocifissa sul suo carnefice. È l’ultimo progetto di Erik Ravelo, artista cubano, classe 1978, che da anni collabora con Fabrica, il centro di ricerca per la comunicazione sociale del Gruppo Benetton.

© 2012 - Erik Ravelo
© 2012 – Erik Ravelo

Quella che è stata classificata come una “campagna shock” e che di primo acchito potrebbe apparire come una facile provocazione, si intitola Los Intocables e, a ben guardare, si dimostra di grande profondità, innovazione e sensibilità. Gli intoccabili sono i bambini, protagonisti muti, inerti e dai volti celati, delle sette fotografie con le sette crocifissioni attraverso cui l’artista denuncia i crimini perpetrati dall’uomo contemporaneo. Crimini dei generi più disparati, tipici di differenti società e differenti culture, ma che in tutti i casi danneggiano, violentano e uccidono proprio quello che dovrebbe essere il futuro dell’umanità, cioè le giovanissime generazioni.

Visivamente immediate nella loro critica, le immagini di Ravelo denunciano gli abusi dei preti pedofili, il fenomeno del turismo sessuale, il commercio illegale di organi, le violenze dei militari, gli ostinati esperimenti nucleari, i frequenti casi di stragi nelle scuole, il consumismo sfrenato. Ogni piccolo martire porta la sua croce che altro non è che il suo uccisore, in un contatto straziante tra la vittima e il suo boia: di volta in volta un prelato, un turista, un chirurgo, un soldato, un ingegnere nucleare, un giovane armato, persino il clown simbolo della McDonald’s.

© 2012 - Erik Ravelo
© 2012 – Erik Ravelo

Si tratta, sì, di immagini forti, di quelle che possono urtare la sensibilità del pubblico, ma d’altro canto, se il fine è quello di far recepire il messaggio sociale, allora il mezzo è giustificato perché si rivela validissimo: per parlare ad un grande pubblico bisogna scegliere un linguaggio immediato e d’impatto; per catturare l’attenzione bisogna scioccare; per sensibilizzare bisogna colpire. Erik Ravelo lo fa senza superficialità.

In una figurazione così netta, dove ogni dettaglio dell’abbigliamento e degli accessori diventa narrazione, non si vede mai un volto: i visi dei bambini sono volutamente nascosti dall’effetto sgranato, mentre gli uomini-croce sono di spalle a celare la loro identità. Il tutto si eleva quasi ad un dimensione concettuale e diventa segno: rimane la croce, il simbolo più radicato nella nostra cultura, simbolo che è già in sé opera d’arte.

Scegliere l’iconografia della crocifissione significa affrontare un tema di enorme potenza e risonanza, ma anche una serie di rischi e polemiche che l’uso di questa immagine comporta. Oggetto di culto, le croci dipinte sagomate erano le opere più diffuse, richieste e venerate nel Medioevo; passando per il numero esorbitante di dipinti e sculture con questo soggetto realizzati in epoca moderna, si è infine giunti, nell’arte contemporanea, ad infinite variazioni sul tema, più o meno provocatorie o talvolta più o meno blasfeme, come le performance con sacrifici animali di Hermann Nitsch, la rappresentazione di rana gigante crocifissa su un legno, la donna di Cattelan che sembrava inchiodata di spalle ad un letto, esposta in una chiesa a mo’ di croce.

© 2012 - Erik Ravelo
© 2012 – Erik Ravelo

Il martirio per eccellenza, l’uccisione per volontà e colpa di un popolo, il sacrificio di un innocente: sono questi i presupposti impliciti di quell’iconografia che servivano a Ravelo e ai quali sceglie di appoggiarsi. Nei suoi bambini crocifissi la provocazione c’è, senza dubbio, ma ci sono anche i contenuti, perché la vista impressionante di quel sacrificio è veicolo di un pensiero, quasi subliminale, in difesa di un innocente.

Eppure, lontane dal voler essere delle immagini sacre, queste fotografie sono affatto terrene e, nonostante il simbolo religioso e il silenzio quasi spirituale di quelle scene, il messaggio è sociale e umano, perché tutto si gioca sulla terra: i martiri della società malata e cruenta sono i bambini; i colpevoli di quei mali sono gli uomini. La soluzione può e deve arrivare dall’uomo.

Valutando con attenzione questi lavori, potremmo scoprire che ad urtare la nostra sensibilità non sono quelle immagini, quanto piuttosto i fatti tragici che esse denunciano.

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