Che choc – con un amaro sapore di già noto – quell'ennesimo aggiornamento della cronaca che ci viene da Genova su una delle malattie peggiori: uomini adulti che pagano ragazzine e ragazzini dell'età dei loro figli o dei loro nipoti. Non solo le ragazze si vendono ma anche i ragazzi. La costante è la domanda sempre più frequente di “gioventù” da parte del mondo adulto: “mandamelo senza baffi” – chiede uno di loro, come si rileva nelle intercettazioni – “non come quell'altro che già sapeva tutto”. Proprio bambino, lo vuole. La criminologa Luana De Vita dice:
Il fenomeno che vede coinvolti quei ragazzini di Genova non è che la punta dell'iceberg. C'è un incredibile mondo sommerso di prostituzione minorile. Basti pensare alla frequenza del turismo sessuale: in Nord Africa costano meno o semplicemente se li vanno a prendere nelle modalità – che abbiamo letto sui giornali – dell'ambasciatore italiano ora arrestato nelle Filippine. Quella della prostituzione di minori non è certo una novità. I ‘ragazzi di vita' di Pasolini ad esempio– e siamo negli anni '50 – ci hanno condotto in quel mondo: è il ‘mercato della carne'. Non si può parlare di crescita vera e propria del fenomeno né per le femmine né per i maschi. C'è sempre stato.
I cambiamenti allora vanno cercati altrove. Internet facilita la comunicazione tra adulti e minori che si vendono, i quali a loro volta sono sollecitati ad avere soldi non dal bisogno ma dagli acquisti di oggetti di marca: “l'adolescenza è l'età in cui si forma l'identità. Rispetto a prima sono cambiate le sollecitazioni al consumo di oggetti che non possono essere comprati se non da persone molto ricche. La media borghesia non se li può permettere. Avere un tenore di vita caratterizzato dal possesso di oggetti di marca, è per i ragazzi il riconoscimento per esistere”. Ma c'è anche un altra cosa che è cambiata rispetto al passato, come riferisce ancora la criminologa:
Questi episodi di cronaca mettono in luce una forma di sessualità che è solo fisica, non c'è il concetto di sesso come comunicazione di emozione e di affetti. Così da una parte si rimuove la questione ‘sesso', non parlandone correttamente né a scuola né in famiglia, che sono le due agenzie in cui dovrebbero essere trasmesse queste notizie, dall'altra i ragazzi accedono alla pornografia in rete, con quell'uso del corpo che diventa un modello da imitare.
Ma ci sono anche altre componenti. Il livello elevato di tossicità di immagini e di utilizzo di infanzia e adolescenza per fini commerciali – con la scusa che si stanno tutti divertendo – è presente anche in tutta una serie inquietante di programmi televisivi o nella pubblicità. Un meccanismo di esposizione di merce e vendita mostrato come innocuo, ma dietro al quale c'è più di un'insidia. Diventa anche quello il contesto sociale in cui si forma il “desiderio” compulsivo degli adulti, e si distrugge la dimensione libera di quello dell'infanzia.
Sono gli adulti i lettori di giornali, magazines, e pubblicità in cui si mostra infanzia e adolescenza come vettori di consenso all'acquisto. Nella pubblicità troviamo bambini con papillon e cravatte, giacche serissime da piccoli manager, bambine in pose sempre più sensuali e accattivanti, embrioni di una sessualità repressa. La televisione – ancora il mezzo principale di informazione degli italiani – fa di peggio. Che dire del programma “Master Chef Junior” che prevede bambini dagli 8 ai 13 anni, cioè l'età dell'infanzia appunto in cui la legge neanche prevede il consenso sessuale, che friggono uova, tagliano verdure, “impiattano”, chiamano “chef” (con la doppia connotazione anche di “capo”) con un'ombra di servilismo dei vecchiardi di successo detti “giuria”?
Ancora una volta orizzonti di adulti trasferiti sull'infanzia: “voglio quel grembiule come se fosse oro” – dice uno di loro alludendo al premio in palio. “Se sbaglio mio padre mi strilla” confessa un finto entusiasta della cucina “cucino per alleggerire la vita” dice un bambino di 8 anni già depresso. E quanta tenerezza la bimba che ha messo troppe nocciole nella torta al formaggio “ma a me piacciono!” si scusa dopo essere stata rimproverata. Ma la sintesi perfetta di questo capovolgimento simbolico che ci proietta in una società primitiva sono i programmi come “Ti lascio una canzone”, prodotto della bigottissima Rai Uno. In quello studio televisivo da adulti, si presentano ragazzini dalle corde vocali sfruttate fino allo squasso che cantano “Tu come stai?… Non è cambiato niente…” a 10 anni.
E' sicuramente vero – come si giustificano continuamente – che quel ragazzino si stia divertendo, proiettato nell'universo del successo drogato degli applausi da studio. E' quella la sua realtà. Solo che non stanno ovviamente cantando per i loro coetanei. Ma per degli sconosciuti dell'età dei loro padri. Non c'è forse un adulto sul divano a godere di quello spettacolo di infanzia manipolata? E perché dopo essere stati sollecitati a desiderare bambini come automobili, non dovrebbero sentirsi autorizzati a godere anche carnalmente di quell'offerta? Non rientra tutto nei meccanismi della vendita?
[Foto in apertura di Enrica Corvino]