Baby prostitute Parioli, gli arrestati restano in carcere: la madre sapeva tutto
Una storia di “particolare squallore”: così i giudici del tribunale del Riesame definiscono quella delle due ragazzine romane che si prostituivano in un appartamento ai Parioli. Il tribunale ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti della madre di una delle baby squillo, del commercialista Riccardo Sbarra e di Mirko Ieni, arrestati nelle scorse settimane insieme ad altre tre persone. I giudici, secondo i quali la madre finita in carcere sapeva tutto, parlano di “devastazione morale delle due minorenni”. Le due giovani, secondo il Riesame, spiccano in modo fortemente negativo perché “spregiudicate, libere e determinate nel raggiungimento dei loro scopi, alla ricerca di sensazioni forti, desiderose di beni costosi e disposte a tutto pur di averle”. Pesanti le accuse che il tribunale attribuisce alla mamma di una delle giovani sfruttate: “Al di là di quanto pretende di far credere, la donna sa della frequentazione della figlia nella casa di via dei Parioli ed è a conoscenza dell’impegno extrascolastico della minore”.
Perché i tre indagati devono restare in carcere – Una donna che conosceva i guadagni della figlia in quanto anche lei usufruiva di quei soldi. La stessa minorenne ha spiegato agli inquirenti di aver aiutato la madre dandole anche fino a cento euro al giorno. Dunque la madre, secondo il tribunale, merita di restare in carcere “per la particolare gravità della sua condotta e per la spregiudicatezza dimostrata nel violare le norme penali a fini di lucro, senza farsi alcuno scrupolo nemmeno per la posizione della figlia minorenne”. Come lei anche Ieni e Sbarra devono restare in galera. Il primo è ritenuto il personaggio chiave dell’intera vicenda che sicuramente sapeva l’età delle due ragazze mentre a pesare sulla posizione del secondo c’è, tra le altre cose, “il sintomatico comportamento assunto in sede di perquisizione domiciliare, allorquando ha distrutto due computer, gettandoli dalla finestra, all’evidente scopo di impedire agli inquirenti di scoprire ulteriori elementi e circostanze, se non utili alle indagini, quanto meno per lui scomodi”.