L’Australia, il 18esimo Paese più ricco al mondo – 49.882 dollari a persona di Pil pro capite, più della Danimarca, del Regno Unito, della Francia, dell’Italia – sta bruciando da settembre e non riesce a spegnere una serie di incendi che hanno 6 milioni di ettari di territorio – più o meno l’equivalente di Piemonte, Lombardia e Veneto messe assieme – e ammazzato, finora, 24 persone e 500 milioni di animali. Finora i danni economici sono stimati in circa 165 milioni di dollari di richieste di risarcimento danni alle assicurazioni, ma nella sola Sidney si calcola che la somma dei giorni non lavorati da settembre a oggi abbia bruciato circa 15-20 milioni di dollari al giorno. Contati male, circa 1,8 miliardi di dollari. Nella-sola-Sidney.
Se volevate una lezione brutale su cause e conseguenze del riscaldamento globale, eccovi serviti. Cause, già. Perché è accertato che a scatenare una simile ondata di incendi nel continente australiano siano state le temperature record di questi ultimi mesi, con una temperatura nazionale media che il 19 dicembre scorso ha toccato i 41,9 gradi centigradi, una siccità che dura ormai da tre anni, e un vento che soffia a velocità superiori ai cento chilometri orari. Ergo: potete fare i negazionisti finché volete, ma quando Greta Thunberg dice che la nostra casa è in fiamme – letteralmente, nel caso australiano – dice esattamente questo. Che gli eventi climatici estremi stanno già devastando il nostro pianeta, qui e ora. E che essere ricchi e civilizzati serve a poco, quando la Terra mostra all’umanità il conto della sua inerzia.
Che tutto questa accada all’Australia, Paese guidato da uno dei governi che più ferocemente negano le responsabilità dell’uomo sul cambiamento climatico, è solo tragica ironia. E farebbe sorridere, se non ci fosse da piangere, che il premier Scott Morrison, nel suo discorso alla nazione abbia ancora negato qualunque legame tra gli incendi che stanno devastando il suo Paese peggio di una guerra e le politiche che lui stesso ha promosso. Tanto per fare qualche esempio, il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 ha recentemente assegnato all’Australia il peggior punteggio in assoluto nella valutazione della politica climatica, fanalino di coda sia nella categoria delle emissioni di gas serra che in quella delle energie rinnovabili. Ciliegina sulla torta, l’uscita dagli accordi di Parigi e la cancellazione della Garanzia Energetica Nazionale (NEG), un programma energetico, che già di suo era ampiamente insufficiente per sperare di tagliare le emissioni.
Abbiamo parlato di guerra non a caso. L’Australia ha dichiarato guerra alla Terra, sperando vanamente che la guerra non gli tornasse in casa. Un po’ come noi, quando alziamo le spalle di fronte agli incendi in Siberia e Alaska, di fronte alla siccità in Etiopia ed Eritrea, agli uragani nel sud est asiatico, convinti che il riscaldamento globale si possa tranquillamente gestire col telecomando dell’aria condizionata o con la carta di credito in mano. Che sia faccenda riguardi chi vive in ambienti estremi, o chi non può importare cibo da qualunque luogo del mondo, o banalmente i nipoti dei nostri nipoti.
Guardate l’Australia, e poi provate a immaginare il giorno in cui i pezzi di ghiacciaio si staccheranno davvero, distruggendo le vostre case vacanze. O quando le valanghe saranno eventi tanto frequenti da rendere impraticabile lo sci alpino. O quando saranno le foreste delle Alpi e degli Appennini a bruciare ininterrottamente. O quando Venezia finirà una volta e per sempre sott’acqua. O quando la cappa di smog renderà inabitabile la Pianura Padana. Fate due conti: in Australia sta succedendo oggi. Quanto tempo può passare prima che tutto questo succeda da noi?
Ecco perché è necessario un cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo. Ecco perché la nostra economia incardinata sui combustibili fossili dovrebbe essere tumulata nel più breve tempo possibile, altro che plastic tax. Ecco perché non c’è alternativa, se abbiamo a cuore la sopravvivenza del genere umano sulla Terra. Perché saremo noi a soccombere, se non l’avete capito. Perché la Terra, ben prima di diventare un forno sferico come Marte o Venere, troverà il modo di cancellarci dalla sua superficie, per salvare se stessa e tutte le altre specie viventi. Perché boschi e foreste torneranno a crescere, i ghiacciai a espandersi, la fauna selvatica a ripopolare i propri habitat. E di noi – piccole creature che si sentono Dio, ma non riescono a spegnere un incendio – non rimarranno che le rovine delle nostre città, monumenti alla memoria della nostra ignoranza, della nostra inerzia, della nostra stupidità.