In una radura nelle montagne della Maddalena, a faccia in giù, con in fil di ferro che gli cinge il piccolo collo di bambino, lunedì 28 aprile 1986 viene trovato esanime Cristian Lorandi, 10 anni, scomparso da casa 24ore prima. È il drammatico epilogo di una storia crudele, quella di un rapimento finito male ancor prima di cominciare. Perché Cristian? Se lo chiese mamma Clara, tra i sospiri senza rassegnazione delle madri in lutto; se lo chiesero gli investigatori, impreparati, psicologicamente e tecnicamente, a occuparsi di un delitto del genere.
Il sospetto
Quando un funerale segue di pochi mesi la prima comunione, in chiesa si riversa tutto il paese e infatti a salutare l'unico figlio dei Lorandi, c'è tutta Nuvolera, fazzoletto di case a metà strada tra Brescia e il Lago di Garda. C'è papà Bruno, marmista, e mamma Clara, casalinga, l'una stretta all'altro, nell'ultimo momento di vicinanza prima che un atroce sospetto veli quella vita di coppia perfetta. Strozzato dai debiti della sua ditta, la Marmi Valle Padana, in paese si vocifera che Lorandi abbia orchestrato un finto rapimento per incassare una grossa somma che gli avrebbe permesso di pareggiare i bilanci.
La confessione
A pagare per far tornare un bimbo tra le braccia della mamma sarebbero stati – nel piano di Bruno Lorandi – i compaesani, che certo non si sarebbero sottratti a una raccolta fondi. Il sospetto diventa in pochi giorni ipotesi di accusa, tanto che alla fine, nel disperato, quanto autolesionistico tentativo di scagionarsi, Lorandi confessa: "Cristian è caduto dal finestrino abbassato della mia Cinquecento e si è spezzato il collo. Preso dal panico l'ho portato in Maddalena e ho inscenato un delitto".
Assolto per ‘insufficienza di prove'
La confessione, però, non convince nessuno e al marmista di Nuvolera non resta che ritrattare finendo comunque sul banco degli imputati. Per il pm la condanna per un simile delitto è diciotto anni di reclusione per l'atroce accusa di concorso in sequestro, occultamento di cadavere e concorso anomalo in omicidio. E mentre la sua Clara gli tiene la mano, convinta dell'estraneità del marito ai fatti del 28 aprile, la Corte assolve Bruno: insufficienza di prove.
La rinascita
Sul delitto del figlio del marmista cala il sipario. A Nuvolera la vita torna alla antica monotonia e la comunità che prima lo aveva accerchiato accoglie di nuovo Bruno Lorandi. Per la moglie Clara, tornare alla normalità non è facile, ma l'amore per il marito e la certezza che sia egli stesso una vittima, la riportano poco a poco in armonia con se stessa e la sua vita. Casa Lorandi si riempie di nuovo di calore, benessere e serenità. Poi un giorno di tanti anni dopo, quella Tv che per Clara era stata sottofondo lontano di tutte le giornate, entra di prepotenza nella sua vita per cambiarla. "Riaperto il caso dell'Olgiata, nuove indagini sull'omicidio della contessa Alberica Filo della Torre" scandisce il mezzobusto del Tg.
L'obiettivo di Clara
Nel cuore di Clara si riapre il cassetto dove vent'anni prima aveva chiuso lo straziante ricordo del figlio morto. "Allora anche per Cristian c'è speranza" conclude quel cuore ferito di madre e in effetti, come per il caso dell'Olgiata e di quello di via Poma, la svolta potrebbe arrivare grazie a un test scientifico: quello del DNA. È l'esame, agli albori della sua applicazione in sede forense, che permette di risalire all'identità di una persona grazie al codice genetico estratto da reperti biologici come sangue, saliva, bulbi capillari. Quella notizia ridà a Clara una sensazione che da anni non provava più: vivere con uno scopo.
L'ultima notte
Sabato 10 febbraio 2007, alle prime luci dell'alba, qualcuno mette fine per sempre alle speranze di Clara Bugna. Il suo corpo senza vita viene trovato riverso sul pavimento della piccola casa di Nuvolera. Indosso ha l'accappatoio, stretta al collo la cintura di spugna, come vent'anni prima il suo bambino aveva il fil di ferro. Stavolta Bruno Lorandi deve parlare, stavolta deve dire la verità, ma c'è tempo. Prima, Nuvolera deve stringersi nell'ultimo abbraccio intorno a quella donna morta due volte: nell'aprile del 1987, e il 10 febbraio 2007.
La sentenza
Dopo che il corpo di quella povera madre viene seppellito accanto a quello del figlio, a Bruno Lorandi viene notificata l'accusa di omicidio volontario. Proprio lui, spinto dalla paura che sua moglie riaprisse il vaso di Pandora, investendo nell'impresa tutti i loro risparmi – secondo la Procura – le avrebbe stretto il collo con la cintura, mentre ancora dormiva nel caldo letto matrimoniale, inscenando poi un omicidio per rapina. Stavolta, di fronte a un quadro probatorio che smentisce la ricostruzione del Lorandi, la sentenza è inesorabile: ergastolo.
L'epilogo
Nel 2009 le porte del carcere si sono aperte per il marmista di Nuvolera, che, dopo aver scritto al Papa e la presidente della Repubblica, si è visto respingere l'ultima istanza di revisione del processo. "So chi è il vero l'assassino", aveva detto ai giudici, ma loro, a differenza di quanto aveva fatto la sua Clara vent'anni prima, non gli hanno creduto.