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Ascesa e caduta di Raul Gardini: il fallimento di Enimont, il suicidio e la passione per la vela

La parabola di Raul Gardini nel mondo dell’economia italiana. Dall’approdo al gruppo Ferruzzi, passando per la scalata Montedison, la creazione di Enimont e il fallimento. Fino agli anni di Tangentopoli, della maxitangente e di quella misteriosa sera del 23 luglio del 1993 con quel colpo di pistola che gli tolse la vita. Per ricordarla su Rai 1 andrà in onda la docu-fiction sulla sua ascesa e caduta.
A cura di Biagio Chiariello
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Sono passati 30 anni dalla scomparsa di Raul Gardini. Dal 23 luglio in occasione dell'anniversario della sua morte la Rai trasmetterà un docufilm dedicato alla controversa storia del noto dirigente d’azienda, morto suicida dopo le indagini sulle tangenti che si celavano dietro Enimont, la sua ultima operazione imprenditoriale.

Raul Gardini nasce il 7 giugno 1933 a Ravenna. I primi passi a livello professionale li muove accanto a Serafino Ferruzzi, suo superiore, suo mentore e suo suocero, visto che nel 1957 ne sposò la figlia Idina, che gli diede tre figli (Maria Speranza, Ivan Francesco ed Eleonora).

Con la morte di Ferruzzi, avvenuta in un incidente aereo nel 1979, il passaggio di consegne nelle mani di Raul fu cosa breve. Con Gardini alla guida del gruppo, la Ferruzzi cambiò faccia fino ad arrivare nel 1987 alla scalata a Montedison,  il principale polo chimico privato in Italia.

Sono questi gli anni del successo, anche a livello sportivo. Presso il grande pubblico, Gardini divenne famoso infatti anche grazie alla leggenda del “Moro di Venezia” che provò, senza fortuna, la conquista della Coppa America di vela.

Era il 1992. Di lì a poco si sarebbe consumata la caduta di uno dei più grandi e discussi imprenditori del nostro Paese.

La Ferruzzi e il matrimonio con Idina

Gardini fu tra i primi industriali all’inizio degli anni Ottanta a prevedere e a sfruttare l’esplosione dei mercati azionari.

Prese il timone del gruppo fondato da Serafino Ferruzzi e in pochi arrivarono grandi successi: l’introduzione della coltivazione della soia in Italia a larghissima scala nell’81; il “progetto etanolo” con la produzione di benzina verde (bioetanolo) utilizzando le enormi eccedenze di cereali, anche se l’opposizione delle compagnie petrolifere, tra cui l’Eni, nell’87 bloccarono l’iniziativa in Italia; poi la svolta nel settore dello zucchero, riuscendo a conseguire nell’86 il controllo della francese Beghin-Say attraverso Eridania, facendo diventare il gruppo il primo produttore saccarifero di Europa.

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In questi anni al suo fianco c'è sempre stata la sua Idina. I due si conoscevano sin da giovanissimi, così come le loro famiglie Era il primo Dopoguerra. Idina, che all’epoca aveva 14 anni, cominciò a mettere gli occhi su Raul, 16enne. "Io non sapevo nuotare, un giorno sul molo di Marina gli chiesi di fare un tuffo per me. E fu l’amore", aveva raccontato.

Qualche anno dopo lui cominciò a lavorare per il futuro suocero e nel 1957 entrò col 10% nella Calcestruzzi, appena costituita da papà Serafino. Quello stesso anno i due convolarono a nozze.

Descritta come una donna riservata ma decisa, raramente la moglie di Raul assunse un ruolo pubblico.

Idina Ferruzzi sorridente assieme a Raul Gardini alla Loggetta Lombardesca
Idina Ferruzzi sorridente assieme a Raul Gardini alla Loggetta Lombardesca

La scalata alla Montedison e lo scontro con Enrico Cuccia

Con l’esperienza maturata nei complicati mercati finanziari e azionari, Gardini riuscì ad attuare una clamorosa scalata alla Montedison.

Approfittando delle operazioni in Borsa di Mario Schimberni, raggiungendo un accordo con l’imprenditore Carlo De Benedetti e “rastrellando” sul mercato una grossa quota di azioni, diventò il padrone del colosso chimico italiano, per una cifra di circa duemila miliardi di lire.

Il 4 dicembre dell’87 Raul Gardini diventò quindi presidente della Montedison. Il prezzo dell’operazione fu però molto alto, in quanto il gruppo fu costretto a entrare nella sfera di influenza del sistema bancario italiano, subendo così il forte condizionamento di Enrico Cuccia e di Mediobanca.

La creazione di Enimont, fusione tra Montedison ed ENI

Gardini era un visionario. La Montedison rappresentava per lui solo il primo passo. Il suo obiettivo era quella di fondere il colosso privato a quello statale, l’ENI,  la compagnia petrolifera di Stato. Il progetto “Enimont”, considerato come l’ultima carta per rilanciare su scala mondiale l’industria chimica italiana, ricevette anche il ‘disco verde' del governo nel febbraio ’88 e circa un anno dopo ne fu varata la fusione.

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Ma la lentezza della burocrazia a riguardo degli sgravi fiscali promessi dal governo, portò Gardini a manifestò l'intenzione di acquisire la maggioranza di Enimont: il 24 febbraio del ’90 dichiarò in un convegno a Padova la celebre frase "la chimica italiana sono io".

Lo scontro tra pubblico e privato fu però aggravato dal rifiuto della proposta di un aumento di capitale del presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari. La situazione si fece ancora più tesa e il 9 novembre del ’90 la magistratura, accogliendo la richiesta dell’Eni, stabilì il sequestro delle azioni Enimont.

Il fallimento e la frattura con la famiglia

Pochi giorni dopo l’Eni stabilì in 2.805 miliardi di lire il prezzo per rilevare l’intero colosso, un costo giudicato troppo alto per Gardini, che così cedette la sua quota. Il suo intento era quello di comprare, ma l’opposizione della famiglia e le “raccomandazioni” di Cuccia lo costrinsero a desistere dall’intento: il giorno stesso della cessione (il 22 novembre ’90) lasciò tutte le cariche ricoperte in Italia nel gruppo Ferruzzi.

La frattura con il resto della famiglia Ferruzzi si acuì rapidamente. L’11 giugno 1991, il cda della Serafino Ferruzzi, destituì Gardini (che peraltro non si presentò) sostiuendolo con Arturo, che ne diventò presidente. Due mesi dopo i tre fratelli Ferruzzi acquisirono la quota di Ida e “liquidarono” il cognato, il tutto al costo di 505 miliardi di lire.

Dal 1979 al 1991, lo accuseranno poi i Ferruzzi, il complesso dei debiti del gruppo ravennate sarebbe passato da 587 a oltre 20 mila miliardi determinando il grave dissesto finanziario che avrebbe portato all'intervento di Mediobanca.

Nel frattempo Carlo Sama, marito di Alessandra Ferruzzi, l’ultima dei quattro figli del fondatore, venne incaricato dalla famiglia di guidare la Ferruzzi-Montedison.

Le accuse, la maxitangente e la lettera del 1992

Esplode l'inchiesta giudiziaria di Mani pulite che riguarda anche i presunti illeciti avvenuti nel periodo compreso tra la costituzione e la fine dell’Enimont.

Il 13 luglio venne arrestato a Ginevra l’ex presidente di Montedison, Giuseppe Garofano, che nel primo interrogatorio rivela ai magistrati tutte le manovre con cui venivano create le disponibilità extracontabili per pagare le mazzette a favore dei partiti di governo, coinvolgendo Gardini e Sama.

Dì li a poco sarebbe scoppiata la bomba della ‘maxitangente Enimont', definita "la madre di tutte le tangenti": 150 miliardi di lire distribuiti a politici e burocrati per facilitare lo scioglimento di Enimont.

Gardini si ritrova con le spalle al muro, si difende strenuamente e scrive una lettera al Sole 24 Ore sostenendo che, quando l'aveva lasciata, "la situazione finanziaria della Ferruzzi era tutt'altro che compromessa".

La morte di Raul Gardini e le indagini sul suicidio

Il 20 luglio 1993 si suicida in carcere Gabrielle Cagliari, presidente dell'ENI, suo rivale nella vicenda Enimont. La cosa evidentemente ha un grande impatto su Gardini. L'imprenditore non era ancora stato ascoltato dai magistrati milanesi, fino a quando, il 22 luglio, il giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti firma l’ordine di arresto.

Quella sera Gardini parla con i suoi avvocati dicendosi pronto a raccontare tutto quello che sa ai magistrati, ma la mattina seguente viene trovato senza vita nella sua stanza da letto della sua casa di Milano, a Palazzo Belgioioso: la versione ufficiale è quella del suicidio.

Una morte che resta ancora tutt'oggi un giallo: non si conosce infatti l’ora precisa del decesso, il cadavere fu portato via prima dell’arrivo della scientifica, nessuno affermò di aver udito lo sparo, non si sa chi abbia rimosso l'arma rinvenuta a distanza dal cadavere, così come il bossolo.

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I rapporti con la politica e la criminalità organizzata

Le settimane che seguirono portano a nuovi arresti e rivelazioni. Due i processi: il primo contro il dirigente Sergio Cusani, l'imputato simbolo di Mani Pulite, il secondo vide alla sbarra dirigenti del gruppo Ferruzzi e della Montedison, intermediari (su tutti Luigi Bisignani), ma soprattutto politici: tra gli altri Craxi, Forlani e Cirino Pomicino, e loro collaboratori.

I magistrati di Milano scrissero che Cusani spinse Gardini a delinquere e nel corso della requisitoria il giudice Antonio Di Pietro disse, riferendosi all’imputato:

Ai politici andarono solo il tozzo di pane, il malloppo è rimasto nelle sue tasche. Ha tradito i politici, Sama, il gruppo, la famiglia Ferruzzi. È stato traditore anche con Gardini, che quella sera, prima di uccidersi, voleva venire a parlare con noi ma era disperato perché lui gli aveva dato i rendiconti. Ha il dovere, nel rispetto di chi è morto suicida, di darci spiegazioni su dove sono finiti la gran parte di quei soldi".

Del rapporto di Gardini con Cosa Nostra si è parlato a più riprese nel corso degli anni. Un legame però mai accertato.

Il suo coinvolgimento spunterebbe in un fascicolo, arrivato nell’agosto del 1991 alla Procura di Palermo a firma di Augusto Lama, l’allora sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa Carrara, che riguardava presunti rapporti tra la mafia siciliana e il gruppo Ferruzzi, all'epoca proprietario della Sam- Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara.

Indirettamente tirato in ballo dal pentito Angelo Siino, conosciuto come il ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra, ovvero di Totò Riina. Nel 1997 parlò di un patto segreto fra la mafia e grosse imprese di costruzioni per accaparrarsi lavori pubblici in Sicilia. Fra quelle fece il nome della Calcestruzzi, all'epoca gestita da Lorenzo Panzavolta, uno dei segmenti redditizi della holding Ferfin di Raul Gardini.

La passione per la vela, il Moro di Venezia e la Louis Vuitton Cup

Sin da bambino amante della vela, una passione che spinse il giovane Raul a cimentarsi nella realizzazione di imbarcazioni sempre più evolute.

Fu così che nel corso degli anni sul suo tavolo da disegno presa forma una delle più belle barche a vela da regata del 900: Il Moro di Venezia. Fu la prima barca italiana nella storia a vincere la Louis Vuitton Cup: in un secolo e mezzo non era mai successo che un Paese non anglofono contendesse la Coppa America a uno scafo americano.

Raul Gardini e il suo "Moro"
Raul Gardini e il suo "Moro"

Il sogno di milioni di italiani si fermò nelle acque di San Diego. In Italia, al rientro Paul Cayard e il suo equipaggio furono osannati. Altre barche italiane, in particolare Luna Rossa, tenteranno poi l'avventura della Coppa America, con meno successo del Moro.

I figli di Raul Gardini

Raul Gardini ha avuto tra figli dal matrimonio con Idina Ferruzzi (morta nel settembre 2018): Eleonora, Maria Speranza e Ivan.

Quest'ultimo all'età di soli 21 anni si ritrovò presidente della Ferruzzi finanziaria quando la frattura tra il padre e i Ferruzzi divenne insanabile.  Mentre pochi giorni dopo la morte di Raul, Ivan fu nominato presidente della Gardini srl. Un peso tremendo, per un ragazzo di 24 anni. La vecchia Gardini srl, ora Gardini 2002, oggi è tutta di proprietà di Ivan.

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