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Arrestato Francesco Bellomo, giudice che imponeva minigonne alle borsiste: anche minacce a Conte

Il giudice Francesco Bellomo, balzato agli onori delle cronache perché imponeva minigonne e tacchi a borsiste e ricercatrici che collaboravano con lui, è stato posto ai domiciliari con le accuse di maltrattamento ed estorsione aggravata. Dall’inchiesta emerge un altri filone di indagine che vede coinvolto come vittima anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
A cura di Antonio Palma
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È finito agli arresti Francesco Bellomo, il giudice balzato agli onori delle cronache perché  imponeva minigonne e tacchi a borsiste e ricercatrici che collaboravano con lui e per questo sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e collocato fuori ruolo dal Consiglio superiore della magistratura. Su richiesta del procuratore aggiunto di bari Roberto Rossi, infatti, il giudice per le indagini preliminari del capoluogo pugliese, Antonella Cafagna, ha emesso nelle scorse ore una ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti già notificata al diretto interessato dagli organi di polizia giudiziaria. Per Bellomo le accuse sono di maltrattamento ed estorsione aggravata.

L'inchiesta riguarda proprio il dress code che l'ex giudice del Consiglio di Stato imponeva alle sue collaboratrici della scuola di formazione giuridica Avanzata "Diritto e scienza" di Bari di cui era docente e direttore scientifico per i corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura. In particolare Francesco Bellomo è accusato dei reati di maltrattamento nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, ed estorsione aggravata ai danni di un'altra corsista. Tutti reati che risalirebbero al periodo in cui bello era impegnato nelle docenze per i corsi post-universitari in magistratura.

Secondo l'accusa, Bellomo faceva sottoscrivere alle ragazze una sorta di contratto con i "doveri" da rispettare imponendo loro anche abiti e comportamenti con relative punizioni in caso di violazioni. Come scrivono i giudici, Bellomo, con "l'artifizio delle borse di studio offerte dalla società" che consentivano tra le altre cose la frequenza gratuita al corso, "per selezionare ed avvicinare le allieve nei confronti delle quali nutriva interesse, anche al fine di esercitare nei loro confronti un potere di controllo personale e sessuale",, avrebbe fatto sottoscrivere un "contratto/regolamento" che disciplinava i "doveri", il "codice di condotta" ed il "dress code" del borsista.

Il dress code imposto da Bellomo: classico, intermedio ed estremo

Quest'ultimo era suddiviso in classico, intermedio ed estremo. Il primo era imposto per gli "eventi burocratici", il secondo per "corsi e convegni", il terzo per "eventi mondani" e prevedeva "gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida, più un maglioncino o maglina, oppure vestito di analoga lunghezza". Inoltre le borsiste dovevano "curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti)".

Tra le altre cose alle ragazze era imposto "il divieto di contrarre matrimonio a pena della decadenza automatica dalla borsa", ma anche la "fedeltà nei confronti del direttore scientifico" e "l'obbligo di segretezza sul contenuto delle comunicazioni intercorse". Una ragazza  sarebbe stata costretta a rinunciare ad un lavoro da co-presentatrice in una emittente televisiva "in quanto incompatibile con l'immagine di aspirante magistrato" mentre un'altra borsista sarebbe stata "punita" con l'iscrizione in una rubrica sulla rivista della Scuola con "dettagli intimi sulla sua vita privata".  Da una terza Bellomo avrebbe preteso che "si inginocchiasse e gli chiedesse perdono" per avere violato regole del contratto. Un ruolo chiave lo avrebbe avuto l'ex pm di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste e anche lui indagato. Per i pm era lui che selezionava le borsiste sottoponendole al "test del fidanzato sfigato" ed era sempre lui incaricato di vigilare sul rispetto degli obblighi contrattuali e a decidere le punizioni.

Bellomo indagato per calunnie e minacce a Conte

Dalla stessa inchiesta barese è spuntato però un altro filone di indagine a carico dello stesso Bellomo e che vede addirittura come parte offesa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Bellomo infatti risulta indagato ora anche per i reati di calunnia e minaccia ai danni dell'attuale Premier per una vicenda che risale la periodo in cui Conte non era a capo del governo. All'epoca dei fatti contestati a Bellomo Conte era vicepresidente del Consiglio della presidenza della giustizia amministrativa, organo chiamato ad esercitare l'azione disciplinare nei confronti di Bellomo proprio dopo che erano emersi i primi illeciti a suo carico. Il premier fu trascinato in Tribunale per presunti illeciti nella trattazione del giudizio a carico di Bellomo che fece notificare anche un atto di citazione per danni. Secondo la procura di Bari, tale atto fu un'implicita minaccia di ritorsioni.

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