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Anziano si impicca nel reparto Covid di Enna. La famiglia: “Nessun supporto psicologico”

È la denuncia di una famiglia siciliana di Barrafranca, nell’ennese. L’anziano parente si suicida nel reparto Covid dell’ospedale Umberto I di Enna con un cavo del monitor attorno al collo. Lo strazio dei familiari:”Non è accettabile morire dentro un luogo sicuro, ospedali aprano agli psicologi e volontari”
A cura di Francesco Bunetto
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È il racconto straziante di una famiglia di Barrafranca, nell'ennese. L'anziano parente di 86 anni, positivo al covid, ricoverato presso l'ospedale Umberto I di Enna, si uccide nel reparto covid. La nipote:"Mio nonno è stato abbandonato e lasciato morire in cinque minuti da solo e senza sostegno psicologico".

Un nonno felice

A raccontare la tragica vicenda è Roberta, la nipote dell'anziano suicida. Era un nonno gioioso – racconta – soprattutto quando stavamo tutti insieme, figli e nipoti, non mancavano momenti felici. Ma il covid prende tutti in famiglia, anche il nonno positivo. "È arrivato il covid anche a casa nostra – ha detto Roberta – è stato una botta perché subito pensi al peggio. Purtroppo al decimo giorno della sua positività è tornata la febbre alta, la saturazione è scesa e abbiamo deciso di mandarlo in ospedale. Aveva voglia di vivere – continua Roberta – metteva l'ossigeno e continuava a essere un uomo autonomo, ma questa voglia gli è stata tolta in pochi giorni. Non posso dimenticare la felicità che aveva quando aveva tutti i nipoti in casa, ogni nostro piccolo successo era utile per farlo gioire".

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"Venitemi a prendere altrimenti faccio una sciocchezza"

Durante il ricovero in ospedale, le telefonate con la famiglia erano brevi e "il nonno era molto provato – raccontano – stavamo cercando di fare qualcosa". "Diceva al telefono che si sentiva in gabbia, messo in croce e si lamentava perché non era supportato, non l'aiutavano. Con il nodo in gola – continua la nipote – diceva che se non l'avessimo aiutato avrebbe fatto qualche "fesseria". Ma una famiglia chiusa a casa con il covid cosa può fare se non chiamare i medici e dire: aiutateci? Mio nonno ha creato un cappio con il filo di un monitor, se l'è messo attorno al collo e si è lasciato morire in pochi minuti. È stato abbandonato – dice la famiglia – gli è stata levata la dignità di uomo in poche ore, è stato immobilizzato senza spiegargli il perché". Questo è un fallimento dei sistema sanitario – dicono –  l'ospedale è visto come luogo di cura ed è inaccettabile che negli ospedali succeda una cosa del genere".

"Aiutate i malati covid con figure professionali"

L'importanza dell'aspetto psicologico ai pazienti ricoverati nei reparti covid, alle famiglie che non possono assistere i loro cari. Un lavoro essenziale che volontari, sacerdoti e figure specializzate, possono effettuare. "Non capisco come si può dare più importanza all'aspetto fisico – ha detto Roberta – ma l'aspetto psicologico dov'è? Se ci fosse stato qualcuno mio nonno sarebbe anche vivo. Talmente era tanta la disperazione, la paura, la solitudine, l'incomprensione che si è lasciato andare. Aveva la speranza di stare bene e ritornare – continua – mio nonno non me lo potrà ridare mai nessuno, l'unica cosa che ci resta è la speranza che queste tragedie non accadano più e che gli ospedali aprano le porte alle figure specializzate come gli psicologi oppure anche ai volontari come i sacerdoti che danno quel supporto al malato che non riesce a dare l'operatore sanitario o la famiglia perché non è accettabile che in un luogo sicuro come l'ospedale possano accadere queste tragedie – conclude – è una sconfitta per tutti, un fallimento di un sistema sanitario."

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