Antonietta, malata oncologica: “Qui mancano le poltrone, noi curati sulle sedie”
Antonietta Lucia è una donna di 60 anni, vive ad Avigliano, in provincia di Potenza, ed è un'insegnante, ma soprattutto una fervida attivista. Nella sua vita ha condotto molteplici battaglie civili e sociali, dalla tutela all'ambiente fino al riconoscimento del diritto all'eutanasia. Attualmente è consigliera comunale, dopo aver condotto una campagna elettorale da candidata a sindaco del suo paese. Da settembre, però, la donna combatte la sua battaglia più importante. Durante un controllo scopre di avere un tumore al seno, anche se lei preferisce chiamare la patologia con il termine medico più adeguato. "Ho un cancro – dice a Fanpage, mentre la intervista – perché tanto chiamarlo in un altro modo non cambierà le cose". La malattia l'ha colta di sorpresa, ma non ha scalfito il suo animo guerriero, nemmeno durante la chemioterapia. Anzi, è proprio lì, in una stanza del Crob di Rionero in Vulture, nel Potentino, che Antonietta si butta a capofitto in un'altra lotta. Le ingiustizie proprio non le sopporta. Delle tante persone che si recano in quel reparto per le cure, molte restano per ore appoggiate su sedie scomodissime, con il braccio poggiato sul tavolino. Le comode poltrone che solitamente si usano per ospitare i pazienti durante le terapie oncologiche, non bastano per tutti. Così Antonietta prende carta e penna e scrive una lettera a Rocco Leone, assessore alla Salute della Regione Basilicata.
Il botta e risposta con l'assessore Leone
La lettera, pubblicata sulla stampa lucana, in poco tempo fa il giro del web. La mittente fa notare, tra le altre cose, che il personale sanitario è in numero carente. Poco dopo arriva la replica di Leone, che è anche un medico. La risposta, però, è scritta in politichese e il contenuto è quello di un copione già letto un miliardo di volte. "Mi appello al Direttore Generale del Crob, Dott. Gerardo di Martino – si legge testualmente -, affinché in tempi rapidissimi possa risolvere questa criticità di facile risoluzione". Tradotto: ci dispiace, come no, ma noi non possiamo farci niente e non faremo niente, cari saluti. Antonietta legge e incassa un altro duro colpo quando capisce che è appena cominciato il balletto delle responsabilità.
Pazienti curati sulle sedie
Ma Antonietta non demorde: "Ho fatto le mie prime due sedute di chemioterapia ed entrambe le volte ho avuto il privilegio di trovare il posto a sedere, ma ho visto davanti a me persone molto provate, senza nemmeno la forza di ribellarsi. Ecco, io devo farlo per loro". Le terapie oncologiche sono un'esperienza durissima. "Si entra di buon mattino e si attende il turno per il prelievo del sangue. Poi il medico indica al personale quali medicinali somministrare. Intanto si è fatta ora di pranzo e tu sei solo, spaesato, senza nessuno al tuo fianco, mentre ti appresti a sottoporti a cure di cui non puoi prevedere le conseguenze. Pretenderesti almeno di metterti comoda su una poltrona, anche perché ci devi rimanere per delle ore". Invece le poltrone sono poco più di una ventina, mentre i pazienti all'ultima seduta era cinquantaquattro. Più della metà deve arrangiarsi, e non è tutto. "Medici e infermieri del reparto – dice ancora Antonietta – sono l'una nota positiva di questa esperienza, ci accolgono con il sorriso e con dolcezza, ma i loro volti sono stanchi, lavorano senza sosta, sono stremati".
Il grido d'aiuto
Lei prova a spiegare il dramma partendo dall'inizio. "Ho scopeto di avere il cancro a settembre, poco prima di tornare in cattedra". A novembre è già in cura al Crob di Rionero, uno dei migliori centri sanitari del sud. "La cosa più brutta è quel senso di disorientamento che avverti con la diagnosi". Poi ti rimbocchi le maniche e decidi di affrontare il mostro, ma una volta arrivati in reparto torna lo sconforto. "A causa della pandemia i nostri famigliari non possono restare con noi e tu rimani lì per delle ore, senza fare nulla, a pensare a quello che ti sta succedendo". Senza nemmeno un santo a cui votarti, o uno psicologo. "Io finora non l'ho visto". Eppure ne ha bisogno lei e ne hanno bisogno i tanti pazienti della struttura che si ammalano di tumore e di paura. "Ho visto tante persone indifese lì dentro, persone che non hanno nemmeno la forza di parlare, di stare in piedi, figuriamoci se si mettono a chiedere la poltrona o lo psicologo". Così, lo fa lei per tutti: "Aiutateci a vivere la malattia in modo dignitoso". Perché davanti ai soprusi non si abbassa mai la testa, nemmeno quando stai combattendo la guerra più difficile ed estenuante della tua vita.