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Anna, licenziata perché trans: “Non mi assume nessuno e io non voglio prostituirmi”

La storia di Anna, donna transgender nata e cresciuta a Bologna, è emblematica di una serie di stereotipi e stigmi che pesano ancora sulla nostra società. Già responsabile logistica presso un’azienda specializzata nel settore elettro-medicale, Anna si è trovata la lettera di licenziamento sul tavolo il giorno del suo ritorno da Bangkok, dove si è sottoposta all’intervento. “In separata sede mi è stato detto che, per via della mia scelta di cambiare sesso, non potevo più rappresentare l’azienda”, confida oggi, 20 novembre, Transgender Day Of Remembrance, giornata mondiale in ricordo delle vittime transessuali.
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“Al mio ritorno dall’intervento a Bangkok, nel settembre del 2018, mi sono trovata sul tavolo la lettera di licenziamento”. Sono le parole di Anna, 52 anni, vittima di transfobia in un Paese – l’Italia – ancora tristemente noto per questo genere di discriminazioni. In occasione del TDoR (Transgender Day of Remembrance) che ricorre oggi 20 novembre, Anna ha deciso di raccontare la sua esperienza, dai lunghi anni di negazione di sé fino alla decisione di accettarsi ed intraprendere il percorso di transizione che l’ha portata ad essere la persona che è oggi. “Felicissima – precisa sorridendo – malgrado la sofferenza e gli ostacoli che ho incontrato”. Ma qual è il prezzo che una persona trans deve pagare per essere felice?

Nata e cresciuta a Bologna, Anna ha prestato servizio come responsabile logistica in un’azienda che opera nel settore biomedicale per 23 anni. Un ruolo affermato – quindi – e una solida carriera alle spalle, spazzati via in un lampo il giorno in cui ha trovato il coraggio di dichiarare alla sua datrice di lavoro di essere trans. “All’inizio sembravano tutti contenti – racconta – nessuno mi ha impedito di intraprendere il percorso. È stato solo dopo che ho capito quanto davvero mi sarebbe costato quell’intervento”. Il licenziamento è avvenuto nel contesto di una riduzione del personale motivata dal fatto che l’azienda era stata rilevata da una multinazionale americana. “Alla fine, però, abbiamo perso il lavoro solo io e un collega che doveva andare in pensione di lì a poco”.

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“La riduzione del personale era di fatto un mero pretesto”, continua l’intervistata. “In separata sede mi è stato detto chiaramente che i dirigenti non volevano che una persona trans rappresentasse l’azienda. Avrei potuto impugnare il licenziamento, ma ho deciso di non farlo perché ho pensato al clima che avrei respirato negli anni a venire”. Senza un lavoro e con un sussidio di disoccupazione di soli due anni (scaduto a settembre del 2020), per qualche tempo Anna ha provato a cercare lavoro in altri settori. “Alla fine, mi sono rassegnata”, confessa. Il motivo? Le domande inopportune che le venivano rivolte durante i colloqui. Dai vari “Come mai ha delle mani così grandi?” ai commenti sulla “profondità della voce”, raramente la conversazione verteva sulle sue competenze. “In generale i datori di lavoro erano più interessati al mio aspetto fisico che a quello che sapevo fare”. Una trafila umiliante che ha portato Anna a smettere di cercare un nuovo impiego.

“Non voglio prostituirmi”

L’accesso al mondo del lavoro è tra i temi più rilevanti in materia di diritti delle persone transgender in Italia e non solo. Secondo Christian Cristalli, presidente e fondatore del Gruppo Trans APS, le donne trans sono particolarmente svantaggiate a causa una serie di stigmi che si abbattono sulle loro vite, precludendo ogni strada che non sia quella della prostituzione. “Non ho nulla contro chi sceglie liberamente di prostituirsi – afferma Anna – ma non è quello che desidero per me stessa”. In moltissimi casi, insomma, il sex work non sarebbe il frutto di una libera scelta, ma l’unica strada percorribile per “non morire di fame”.

Il primo ottobre 2020, l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha sancito con una determina la gratuità delle terapie ormonali per persone transgender. Prima di quel momento i farmaci non erano rimborsati dallo Stato e ciò comportava per chiunque decidesse di intraprendere la transizione un dispendio economico considerevole e a vita. “Se non puoi lavorare perché nessuno ti assume, un modo per comprare gli ormoni e sopravvivere lo devi trovare. La prostituzione, per molte, appare come l’unica soluzione” continua l’intervistata. Oggi, Anna si dichiara stanca di cercare lavoro, per quanto sempre determinata a non prostituirsi. Non ha più voglia, dice, di doversi giustificare solo per il fatto di essere se stessa. Come lei, molte donne e molti uomini si trovano a dover lottare in ambienti lavorativi ostili, mai apertamente transfobici, ma di fatto discriminatori. “Nessuno ti licenzierà mai perché sei trans – sottolinea ancora – ma vengono trovati altri modi, più sottili, per allontanarti. Ogni pretesto è buono”.

Uno studio recentemente condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) congiuntamente con l’Università di Firenze, l’azienda ospedaliera e universitaria Carreggi, la fondazione The Bridgee l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, stima il numero di persone trans in Italia intorno a 400 mila. I casi di transfobia non sono tutti noti, ma secondo l’indice del Trans Murder Monitoring il nostro Paese sarebbe al primo posto al pari solo della Turchia in questa triste classifica. “Penso che sia importante che vengano fatte nuove leggi contro i crimini d’odio" commenta Anna. A novembre 2020, la Camera ha approvato il ddl Zan, che propone delle modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. "Lo considero un ottimo segnale", aggiunge l'intervistata. E conclude: "Spero che ne verranno fatti altri, perché essere se stessi, nel rispetto del prossimo, non dovrebbe mai comportare una rinuncia ai propri diritti fondamentali".

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