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Angela uccisa e seviziata, il testimone: “Hanno messo in carcere un innocente”

“Sono un medico di Medicina Generale in pensione, voglio dire la verità perché ne va della vita di un innocente in carcere. Quel giorno la vittima era con un uomo diverso da quello che oggi sconta l’ergastolo”. A 18 anni dall’omicidio di Angela Petrachi, strangolata e seviziata nei boschi di Melendugno (Lecce), Fanpage pubblica una testimonianza inedita che potrebbe gettare nuova luce sul delitto.
A cura di Angela Marino
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"Angela era con un uomo che non è Giovanni Camassa il pomeriggio in cui è stata uccisa". A 18 anni e una condanna dal macabro delitto di Melendugno spunta una testimonianza – pubblicata in esclusiva da Fanpage.it – che potrebbe gettare nuova luce sui fatti. È quella di A. C., medico di famiglia, oggi in pensione, con quarant'anni di servizio a Melendugno (Lecce). A.C., che a Fanpage.it ha spiegato di essersi fatto avanti per ‘salvare un innocente' dall'ergastolo, è venuto a conoscenza di un fatto importantissimo nella ricostruzione del delitto. Il pomeriggio in cui Angela Petrachi è morta, è stata vista in un bar con un uomo che non era Giovanni Camassa. A riferirlo al dottore è stato un paziente che avrebbe visto la vittima entrare in un bar del paesello salentino intorno dopo le 14 e 30 con un personaggio ‘basso e tarchiato con una brutta faccia'.  In carcere per l'omicidio, oggi, c'è l'agricoltore Giovanni Camassa, condannato all'ergastolo con l'accusa di aver ucciso e fatto vilipendio del corpo della giovane Angela Petrachi, morta a Melendugno (Lecce) nel 2002. Angela, 31 anni, mamma di due bimbi, venne ritrovata mezza nuda, strangolata con le sue mutandine e mortificata con un ramo conficcato nei genitali, in un bosco della campagna salentina. Un delitto a sfondo sessuale, carico di odio, che è stato attribuito, dopo una prima sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, a Giovanni Camassa, oggi 53enne.

La testimonianza: "Non ho paura di dire la verità"

"Non ho paura di dire la verità, dice a Fanpage, A. C. che alla famiglia del detenuto aveva inviato un messaggio con questo contenuto:

 Sono un medico di Medicina Generale da quarant'anni, in pensione dal 2017. Sono andato a visitare il signor M. che, confidenzialmente, mi riferiva di aver visto su un quotidiano la foto ella signora Angela Petrachi e successivamente quella di Giovanni Camassa e che la sua foto (quella del Camassa, ndr) non corrispondeva al signore che era uscito con la Petrachi, che era tarchiato e con una ‘brutta faccia', il giorno e l'ora della presunta morte. Nei giorni successivi sono andato al bar … (l'attività commerciale dove il testimone aveva visto la Petrachi entrare con l'uomo sconosciuto, prima che venisse usccisa, ndr)  gestito dal signor….che alla mia domanda se ricordasse il particolare riferito dal sig… ( il testimone visitato dal medico ndr) ha risposto che aveva un'attività commerciale e che non voleva fare dichiarazioni ai carabinieri per paura di ritorsioni. Nemmeno il sig ( il testimone iniziale, ndr.) ha mai voluto riferire ai carabinieri per paura di ritorsioni perché ‘quello aveva una faccia da delinquente'. Capisco l'atteggiamento omertoso, ma si tratta della vita di una persona che è in galera da tanti anni. Se a quest'ora era in quel bar con quel signore con il quale era uscita, come faceva a trovarsi in un altro posto col Camassa? Entrambe queste persone mi dissero che se fossi andato dai carabinieri avrebbero risposto che non sapevano! Comunque non ho mai avuto paura di dire la verità e poi sono un pubblico ufficiale. L'omertà dovrebbe essere un reato.

Il delitto risale a sabato 26 ottobre del 2002, quando Angela è uscita dalla casa dei suoi genitori per l'ultima volta diretta a un appuntamento con le amiche. È stata trovata cadavere l'8 novembre successivo nei boschi di Melendugno. L'autopsia certificò che era stata spogliata nella parte inferiore del corpo, strangolata, verosimilmente con le sue mutandine, ma che non aveva subito violenza sessuale. Sotto le sue unghie non vennero trovate tracce di difesa. La vittima, però, aveva dei rami conficcati nei genitali, un gesto con il quale l'assassino o gli assassini avevano voluto oltraggiare il cadavere. Nei mesi successivi venne incriminato Giovanni Camassa, agricoltore al lavoro nei campi vicini al luogo del delitto e che, secondo la ricostruzione delle indagini, aveva avuto alcuni contatti telefonici con la vittima. "Mi aveva chiesto di aiutarla a procurarsi un cane", ha spiegato poi Camassa agli inquirenti. Come testimoniato al processo dalle amiche della vittima, la ragazza, infatti, cercava un cane da guardia perché si sentiva in pericolo. Quel cane, tuttavia, Angela lo aveva poi trovato con l'aiuto di un'altra persona. Angela Petrachi viveva in casa con i due figli avuti dal marito G. S., sottufficiale di Marina, dal quale era separata. Dopo la fine del matrimonio la 31enne aveva intrapreso diverse relazioni.

L'avvocato: "No DNA di Camassa sulla vittima"

"Abbiamo sempre sostenuto l'innocenza del signor Camassa" ha detto a Fanpage.it il difensore dell'agricoltore, l'avvocato Ladislao Massari: "Tra gli elementi evidenziati nella richiesta di revisione del processo, che ci è stata respinta, e c'è l'assenza di ogni traccia del mio cliente, quindi anche del DNA, sulla scena del delitto e sul corpo della vittima. E, viceversa, l’assenza di tracce della vittima sul mezzo guidato da Camassa e sul quale, secondo la ricostruzione processuale, la vittima sarebbe salita prima di venire uccisa. Anche secondo le analisi delle celle telefoniche condotte dai nostri consulenti, infine, il mio cliente non risulterebbe presente sul luogo del delitto quando veniva commesso". "Quanto all'indagine genetica – prosegue Massari – è stata condotta per noi dal dottor Tagliabracci che ha rilevato in tracce miste la presenza del profilo genetico della vittima commisto al profilo genetico di soggetti sconosciuti. Di fatto, non è stato mai possibile dimostrare nelle tracce esaminate la presenza del profilo di Giovanni Camassa. Su una sola traccia prelevata da una calza di nylon della vittima, è stato ottenuto un profilo misto che ha restituito il DNA della vittima quello di G. S., l'ex marito e quello di uno sconosciuto".

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"Noi tutti speriamo di tirare fuori mio zio dal carcere ha detto a Fanpage.it Francesco, nipote di Giovanni Camassa. Mio zio è innocente, ha una moglie, due figli e ha sempre pensato solo al lavoro. Non ha precedenti penali qui in paese tutti lo conoscono come una brava persona. Speriamo vivamente che possano trovare il vero colpevole, magari approfondendo meglio i rapporti della vittima con i suoi ex". Giovanni Camassa è stato condannato con sentenza definitiva per omicidio e vilipendio di cadavere.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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