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Guerra in Ucraina

Andrea Riccardi a Fanpage: “Tra russi e ucraini pace possibile, da UE scarso impegno per negoziato”

Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio: “Negli ultimi giorni tra Russia e Ucraina si stanno accendendo segnali di grande interesse. Però stiamo attenti: la pace non si fa senza Stati Uniti e Cina. Mi piacerebbe aggiungere l’Europa, ma le istituzioni del nostro continente soffrano di nanismo diplomatico”.
A cura di Davide Falcioni
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Andrea Riccardi c'era il 4 ottobre 1992 quando a Roma – presso la sede della Comunità di Sant'Egidio – venne stipulato l'accordo di pace per il Mozambico ponendo fine a 16 anni di guerra civile tra la Renamo, il movimento guerrigliero di opposizione, e il Governo del Frelimo (partito unico di orientamento marxista, vicino al blocco sovietico).

Il conflitto aveva devastato il Paese africano causando un milione di morti e 3-4 milioni di profughi. I negoziati per arrivare a un cessate il fuoco e infine alla pace si tennero proprio alla Comunità di Sant'Egidio, non a caso soprannominata "ONU di Trastevere" per l'intensa attività diplomatica condotta nella sua storia.

Dopo la pace in Mozambico Riccardi fu protagonista delle trattative che portarono a quella in Guatemala: la guerra durava da 35 anni, i protagonisti non si erano mai visti direttamente e la Comunità, d'accordo con le Nazioni Unite, organizzò una serie di incontri nel 1996 a Roma, Parigi e a San Salvador. La pace venne firmata alla fine di quell'anno a Città del Messico, alla presenza di una delegazione di Sant'Egidio.

Fu poi la volta dell'Albania e del Kosovo, dell'Uganda e della Guinea, quindi oggi della Repubblica Centrafricana. Tra le figure che in Italia sono maggiormente titolate a parlare di negoziati e diplomazia c'è sicuramente Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, ex Ministro della Cooperazione Internazionale e tra i protagonisti della manifestazione per la pace di sabato scorso a Roma. Fanpage.it l'ha intervistato nel tentativo di comprendere se ci siano margini per una fine delle ostilità anche tra Russia e Ucraina.

Accordo di pace per il Mozambico, 1992. In piedi, Andrea Riccardi
Accordo di pace per il Mozambico, 1992. In piedi, Andrea Riccardi

Sabato scorso, dal palco della manifestazione di Piazza San Giovanni, ha dichiarato che "la pace è impura". Cosa intendeva?

Bisogna stare attenti alla purezza pericolosa, perché essa può essere ideologica, crudele e disumana. La pace è impura perché nasce sempre da un accordo in cui, in fondo, si giunge a un compromesso pur salvaguardando al massimo la giustizia e i diritti. Penso alla pace che noi abbiamo firmato trent’anni fa a Sant’Egidio dopo la guerra del Mozambico che causò un milione di morti e 4 milioni di profughi. L’accordo tra le due parti fu una pace impura perché, ad esempio, venne accompagnata da un’amnistia per i belligeranti. Anche la Seconda Guerra Mondiale, che fu una lotta ai nazisti senza quartiere, fu accompagnata da un grande compromesso: l’alleanza con Stalin e la cessione all’Unione Sovietica di un importante pezzo d’Europa. Anche nella guerra di oggi tra Russia e Ucraina dobbiamo cercare la pace migliore con il massimo realismo.

Alla vigilia della manifestazione di Roma ci sono state alcune polemiche. Qualcuno ha affermato che tra i pacifisti si celassero simpatie per Putin. Cosa ne pensa?

Avrei invitato chi ha detto tali cose a venire in piazza a vedere. Quella manifestazione non era equidistante, tutti gli interventi hanno condannato l’aggressione russa. C’è però un altro aspetto che mi ha disturbato: i mezzi d’informazione si sono focalizzati prevalentemente su Letta e Conte, sulla posizione del PD o del Movimento 5 Stelle, mentre non è stato colto il senso di quell’incontro di oltre 100mila persone: la riaffermazione del primato della pace come obiettivo di ogni politica, paradossalmente anche di ogni guerra. Noi abbiamo rischiato di perdere di vista quell’obiettivo. Quella piazza era colma di lavoratori, di cattolici, di organizzazioni pacifiste. Non era affatto una piazza filo-putiniana e trovo personalmente offensivo che qualcuno lo dica: sono un amico dell’Ucraina dagli anni ’80, parlavo con gli indipendentisti ucraini a Leopoli 40 anni fa. Quanti altri lo facevano?

La Comunità di Sant’Egidio viene soprannominata "ONU di Trastevere" per essere stata protagonista di svariati negoziati di pace, alcuni conclusi con successo come quello del Mozambico (1992, dopo 16 anni di guerra e 1 milione di morti) o in Guatemala (1996, dopo 34 anni di guerra). Oggi siete impegnati in una complessa trattativa in Centrafrica. Quale metodo adottate? Come si mettono a sedere intorno allo stesso tavolo leader che si odiano e che hanno provocato milioni di morti?

Ogni conflitto è diverso dall’altro e ha una storia a sé, quindi non può esserci un metodo universale. Possiamo però riassumere il modo in cui lavoriamo con le parole del più grande diplomatico vaticano del ‘900, Angelo Giuseppe Roncalli, Papa Giovanni XXIII: "Bisogna cercare quello che unisce e mettere da parte ciò che divide". Cioè, bisogna ricostruire un tessuto comune tra persone che si combattono, bisogna cogliere l’interesse comune degli uomini e delle donne, che è innanzitutto quello di evitare la distruzione dei rispettivi Paesi e delle proprie vite. In questo senso il negoziato di pace ha bisogno di tempo: talvolta si può dialogare mentre si combatte ancora, prima ancora di un cessate il fuoco. L’elemento principale è il tempo: non bisogna solo accordarsi, ma prima ancora occorre cambiare le mentalità e le prospettive.

Accordo di pace per il Mozambico. A destra, Andrea Riccardi
Accordo di pace per il Mozambico. A destra, Andrea Riccardi

La Comunità di Sant’Egidio sta lavorando attivamente per un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina?

No, direi che non abbiamo nessuna ambizione di mediazione. Però teniamo aperti molti contatti sia a livello politico, che di società civile e chiese, per favorire un disgelo.

Putin ha invaso un Paese sovrano e si è macchiato di gravi crimini di guerra, ad esempio Bucha; il Consiglio di sicurezza nazionale ucraino ha firmato un decreto sull'"impossibilità di condurre negoziati" con il presidente russo. In queste condizioni ci sono margini per trattare?

Apparentemente no, ma sono convinto che quei margini invece ci siano. Degli spazi di dialogo vanno trovati e la guerra va raffreddata. Oggi le guerre non si vincono e non si perdono: le guerre si eternizzano. Io ammiro la resistenza ucraina e credo che la Russia non riuscirà a vincere, come ha dimostrato finora il campo di battaglia. Tuttavia non credo che l’Ucraina riuscirà a battere la Russia. L’ipotesi più probabile, dunque, è terribile: è quella siriana, di una guerra senza fine. E questo noi lo dobbiamo evitare prima di tutto per il bene dell’Ucraina. Quando parlo di "pace" penso al bene dell’Ucraina, ma anche ai tanti ragazzi russi morti sul campo. E penso alle tante violenze che sono accadute, ai 10 milioni di profughi, alle donne. Dobbiamo evitare che la guerra duri 10 anni, come in Siria.

Come giudica la ritirata dei russi da Kherson? 

Non so interpretare la strategia russa. Alcuni ucraini temono che si tratti di una trappola. Io però non lo penso: a me sembra che in questi ultimi giorni, qua e là, si stiano accendendo segnali di grande interesse. Però stiamo attenti: la pace non si fa senza Stati Uniti e Cina. Mi piacerebbe aggiungere l’Europa, ma noto che le istituzioni del nostro continente soffrano di nanismo diplomatico e gravi divisioni interne.

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A un’ipotetica conferenza di pace quale dovrebbe essere il ruolo dell’UE e delle altre potenze mondiali?

È ancora presto per parlare di una conferenza di pace. Mi limiterei a parlare di un’iniziativa diplomatica, e in questo quadro l’impegno dell’Unione Europea è scarso. E me ne dolgo molto.

Un accordo di pace non può prescindere da garanzie di sicurezza per Ucraina e Russia. Quali dovrebbero essere tali garanzie?

Non siamo ancora in grado di dirlo. Bisogna che russi e ucraini avanzino prima delle richieste concrete. Io credo che tuttavia noi dobbiamo ripensare il quadro europeo a partire dagli Accordi di Helsinki del 1975: è necessario garantire la sicurezza di tutti, ma affinché ciò accada sarà necessario molto tempo. Viviamo in una stagione in cui è stato dimenticato l’orrore della guerra e che utilizza troppo spesso le armi come strumento per la risoluzione dei conflitti. Lo stesso linguaggio diplomatico è diventato bellicoso. Bisogna ritrovare il gusto e la responsabilità di parlarsi e negoziare, perché siamo tutti legati, gli uni agli altri. Pensiamo alla questione dell’energia, all’economia, alle migrazioni. Pensiamo a come le guerre diventino carestie e crisi economiche per molti Paesi poveri del mondo. Siamo tutti legati. Dobbiamo ricominciare a parlarci.

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