Andrea Favero incastrato da telecamere e testimoni per il femminicidio di Giada Zanola: la ricostruzione
Alcune parziali ammissioni fatte alla polizia, ma anche le riprese delle telecamere e le testimonianze raccolte subito dopo il ritrovamento del corpo di Giada Zanola, la giovane di 33 anni spinta dal cavalcavia della A4 a Vigonza.
Sarebbero questi alcuni degli elementi che hanno portato al fermo di Andrea Favero, il 38enne, accusato di aver ucciso la compagna. Una "grave base indiziaria" che avrebbe permesso di dare una svolta al caso, trattato inizialmente come suicidio, l'uomo era stato sentito il 29 mattina come testimone.
Le telecamere puntate sul tratto autostradale, che sono state acquisite dagli inquirenti, insieme alle ammissioni di un "rapporto burrascoso e conflittuale" hanno convinto gli inquirenti della necessità di fermare il 38enne. Mentre, secondo il sostituto procuratore Giorgio Falcone, la telefonata fatta alla vittima o i messaggi inviati subito dopo il delitto "rappresentano una messa in scena".
La ricostruzione fatta da Favero
Il 38enne che continua a professarsi ‘innamoratissimo‘ continua a parlare di un acceso litigio, durante il quale la compagna si sarebbe allontana a piedi sul cavalcavia. Lui l'avrebbe raggiunta con l'auto, ma nell'abitacolo la lite sarebbe proseguita.
"Lei mi sbraitava addosso come spesso ultimamente faceva dicendo che mi avrebbe tolto il bambino e non me lo avrebbe più fatto vedere. (…). Ricordo che siamo scesi dall'autovettura, ma qui i ricordi si annebbiano perché ricordo solo che mi continuava a ripetere che mi avrebbe tolto il bambino, ma non ricordo se e come ho reagito", ha spiegato Favero. I due sarebbero quindi tornati a casa. Ma il messaggio, inviato alle 7.38 sul cellulare della vittima, sarebbe, per la Procura, un tentativo di depistare le indagini: "Sei andata al lavoro?? Non ci hai nemmeno salutato!!".
Nel provvedimento si sottolinea come durante l'interrogatorio, il 38enne "forniva una versione poco credibile", una versione "addomesticata e reticente" che ha propinato anche alla madre alla quale racconta che sono "andati tutti regolarmente a dormire". L'indagato "è arrivato a simulare di avere appreso della morte della compagna solo dopo avere letto un messaggio in una chat: "lo quando è arrivata la polizia chiedendomi di Giada ho sperato che lei stesse bene e ho appreso della sua morte solo da un messaggio postato sulla chat del quartiere in cui abito‘", si legge nel dispositivo di fermo.
La Procura: "Movente nel viscerale attaccamento al figlio e la paura di perderlo"
Se i "vuoti di memoria" sono parte della "messa in scena", appare "chiara l'esistenza di un forte movente: il viscerale attaccamento al figlio" e la paura di perderlo, presunte minacce "reiterate anche e soprattutto pochi istanti prima dell'omicidio" scrive il pm di Padova.
Per la pubblica accusa "appaiono inquietanti i sospetti maturati dalla vittima di essere in qualche modo drogata dall'indagato", ma sarà l'autopsia a svelare eventuali presenze di sostanze tossiche.
Il racconto dei testimoni: "Litigi continui per motivi economici"
Un'amica della vittima riferisce che la 33enne "le aveva confidato di aver paura dell'indagato" e "aveva visto anche le foto delle ecchimosi riportate dalla vittima a seguito del litigio del 27 maggio". A dire dell'amica "i due litigavano con cadenza quotidiana, anche per motivi economici" e di litigi "quasi all'ordine del giorno" riferisce pure la madre del 38enne, per il quale è scattato il fermo per il pericolo di fuga.
A Fanpage.it anche il fratello della giovane, Daniel, ha raccontato: “Sapevo della crisi, ma Giada non si confidava, forse per paura del giudizio. Il suo compagno non sembrava pericoloso, mai avremmo immaginato quanto è successo”.
Per il pm Falcone, prendendo in considerazione eventuali ipotesi alternative, "non sussiste il benché minimo dubbio che la vittima non avesse alcuna ragione di suicidarsi, dato che si trovava in una posizione di forza nei confronti del compagno, aveva una relazione affettiva con un'altra persona e si accingeva a cambiare lavoro, per andare a lavorare presso lo stesso distributore del suo amante". Suicidio escluso anche dalla famiglia e da un'amica che parla della 33enne come di una donna "serena e la stessa vittima le riferiva che ‘la sua vita stava andando per il meglio sia sul piano personale che su quello lavorativo'".