Ieri era Pasquetta, il cielo limpido e un leggero venticello accarezzavano il buon umore. Così, nonostante la loro sedentarietà, coi miei genitori ci siamo comportati da bravi italiani medi e abbiamo deciso di andare al mare. Un'ora di viaggio affrontando un ingorgo tollerabile, con il CD di Ermal Meta cantato da mia sorella decenne nel sedile posteriore ha reso tutto più godibile, insieme ad una leggera fame di risotto allo scoglio in testa più che in pancia. Peccato che una volta arrivati a destinazione, Castiglioncello (in provincia di Livorno), ci siamo accorti di aver lasciato il tagliando del parcheggio disabili a casa. Panico, e qualche infamata nei miei confronti scandita da "dovevi pensarci te!!", ma vabeh: son genitori…
La ricerca di quasi un'ora per il paese a scovare un posto libero non ha portato a niente visto il caos generale, così ci siamo arresi e abbiamo lasciato l'auto in un posto per disabili, senza tagliando sul cruscotto ma con al suo posto un foglietto di carta che profumava di timida e imbarazzata speranza. Sul foglio avevo scritto i miei dati, il codice del tesserino e il Comune di residenza, oltre al mio numero di cellulare per potermi chiamare in caso di controllo, in modo da tornare subito a "fare fede", dimostrando di essere veramente a bordo dell'auto (tra l'altro, sul cellulare ho una foto fronte-retro del tagliandino stesso, in caso di emergenze come questa). Non so se sia legalmente valido, non penso, ma era l'unica cosa logica rimasta da poter fare.
Sia chiaro, il tutto consapevoli di essere nel torto: il tesserino deve sempre, e sottolineo sempre, trovarsi insieme al disabile per evitare imbrogli e abusi da parte di amici o parenti che potrebbero sfruttarlo quando il soggetto è assente. Per questo dovrebbe diventare un'abitudine quella di portarselo costantemente dietro, a mo' di San Bernardo con la sua fiaschetta di grappa legata al collo, esattamente come chiunque fa con la propria carta di identità. La presenza della foto tessera sul retro dello stesso cartellino, oltretutto, agevola i controlli.
A niente però è servita la focaccia calda nello stomaco, mangiata lungomare a merenda, nemmeno a cancellare l'inesorabile destino. Ma attenzione, c'è un "ma", ed è su questa riflessione che vorrei concentrarmi. Insolita è stata la gioia nel tornare al parcheggio, dopo la piacevole giornata, e trovare sotto ai tergicristalli un foglietto rosa inequivocabile: 85€ di multa e annessi punti della patente decurtarti (ovviamente di mio babbo, sigh!). Avevamo fallito, ci avevano colpiti e affondati, e non senza ragione. La giustizia, per una volta, aveva trionfato!
Dopo una rapida telefonata, però, spiegando la situazione, la polizia municipale ci ha invitati a passare dalla caserma, per fortuna poco distante, per "sistemare la questione". Così, senza nemmeno il bisogno di scendere dall'auto, aspettandoci già sul piazzale, hanno appurato della mia presenza e compreso la "sventura", annullando il provvedimento e augurandoci con un sorriso di poter chiudere la serata tranquillamente, tra una risata generale che ribadiva il comune accordo sulle rispettive ragioni. Ma perché allora ho deciso di parlarne? Cosa c'è di strano in una multa che, sebbene sia stata fatta giustamente, è stata poi altrettanto correttamente ritirata?
Per ricordare che anche i disabili sbagliano, anche solo per stupide distrazioni come questa, e quando sono in errore devono "pagare" come tutti (sebbene il mio caso non fosse estremo e, stavolta, sia finito tutto per il meglio, ma non era scontato e poco avremmo potuto fare nei giorni successivi per dimostrare le nostre ragioni in un eventuale ricorso, se non avessimo subito telefonato). Ogni settimana infatti migliaia di persone si comportano in modo scorretto parcheggiando dove non dovrebbero e rubando un posto che non gli spetta, utilizzando pass scaduti di altri o, peggio, falsificando copie esistenti.
È stato rassicurante, invece, ritrovare quella giustizia che non viene ricordata abbastanza: persone che svolgono il loro lavoro in modo intransigente, ma che allo stesso tempo si rendono disponibili e riescono a comprendere il singolo caso, analizzandolo con oggettività. È stato bello ritrovarmi anche dall'"altra parte", non dico del torto perché sarebbe esagerato, ma di certo in bilico sul filo del rasoio. E poi diciamolo: non è scontato lavorare bene, così come non è scontato ammettere le proprie colpe, e tantomeno trovare un giusto finale a storie di rispetto e di fiducia come questa. A dimostrazione del fatto che la giustizia, se vuole, funziona eccome… Basta volerlo. Per una botta di fortuna, invece, non garantisco!