Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una nostra giovane lettrice:
"Sono Anna Adamo, ho 24 anni e la mia è una di quelle testimonianze che resteranno inascoltate, perché non sono un Influencer e non ho milioni di followers su Instagram. E si sa, al giorno d'oggi se non si posseggono grandi numeri sui social non si viene presi in considerazione, purtroppo. Ma voglio provare a scriverla lo stesso. Perché qualcosa da dire ce l'ho anche io. Il bisogno di essere ‘ascoltata’, ce l'ho anche io, pur essendo una persona comune.
Premessa: la mia non vuole essere una lettera scritta con l'intento di sminuire o criticare qualcuno, ma una semplice testimonianza che vorrei le persone leggessero e mettessero in atto un maggiore senso di responsabilità.
Sono laureata in Giurisprudenza e svolgo la pratica forense, nel frattempo però ho deciso di inseguire un altro mio sogno e iscrivermi alla facoltà di Infermieristica. Le mie sono giornate estenuanti, mi divido tra tribunale, ufficio, lezioni da seguire, studio e tirocinio in ospedale. Spesso non ho neanche tempo per mangiare (e lo so che i pasti non si saltano, però a volte non ho alternative), mi limito ad aprire una scatoletta di tonno e basta. Ma il problema non è questo. Per quanto dure possano essere queste giornate, sono felice perché faccio quello che amo.
Il problema è la paura che mi accompagna ogni giorno.
È la paura di andare in ospedale e contrarre il virus. È la paura di star male mentre faccio quello che più amo al mondo: prendermi cura degli altri.
È la paura di tornare a casa. Si, ho paura di tornare a casa. Di contagiare chi mi sta accanto.
Sono mesi che torno a casa solo quando so che è vuota, solo quando so che chi vive con me è fuori. E quando chi vive con me a casa è presente ed io non posso andare altrove mi chiudo in una stanza dalla quale esco solo per andare in bagno. E tutto questo è maledettamente estenuante, maledettamente triste e insopportabile, anche per una persona forte come me.
Non trovo neanche le parole per descrivere cosa si provi nel sapere che nella stanza accanto ci sia il proprio fidanzato e non poterlo abbracciare, baciare, perché è meglio non rischiare, è meglio aspettare il risultato del tampone e assicurarsi che vada tutto bene. Non trovo le parole per descrivere il dolore che si prova perché non si possono abbracciare i propri genitori e ci si debba accontentare, nella migliore delle ipotesi, del vederli dal balcone o tramite una videochiamata Whatsapp. Non ne posso più di tutto questo. Sono stanca, avvilita.
A volte vorrei solo chiudere gli occhi, poi riaprirli e credere che tutto questo sia un incubo. Nei rari momenti liberi apro i social e ne vedo di ogni. Vedo le influencer (e anche persone comuni) comportarsi come nulla fosse, infrangere ogni regola e mi arrabbio. Mi arrabbio perché tutto ciò non è giusto. Non è corretto nei confronti delle tante persone che come me sono in trincea ogni giorno. Quindi, a chi legge, anche se non sono un’influencer, dico: abbiate responsabilità e buon senso. Fatelo per voi stessi. E anche un po' per noi, che pur avendo paura della situazione, non possiamo sottrarci al pericolo, ma dobbiamo compiere il nostro dovere e lavorare nonostante tutti i nonostante".
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