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Talebani a Kabul: le ultime news sull'Afghanistan

Amina, in fuga dai talebani: “In Afghanistan sarei in una gabbia, le donne hanno perso la voce”

Amina, fuggita dal regime dei talebani, a Fanpage.it: “Le donne nel mio Paese sono obbligate a tacere, a coprirsi e a seguire tutte le regole che vengono imposte loro”.
A cura di Anna Vagli
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Amina è afgana, ha 26 anni e lo scorso 21 agosto è riuscita a sottrarsi dal regime dei talebani. È arrivata nel nostro Paese grazie all’attività di Nove Onlus, organizzazione non governativa italiana con la quale collabora dall'aprile del 2019 e per la quale ricopre il ruolo di Project Manager dell’Empowerment femminile.

Amina è laureata in Scienze Sociali e ha guidato il gruppo di evacuazione di terra organizzato da Nove Onlus con il Governo. Con lei sono riusciti a fuggire le sue sorelle e i suoi fratelli mentre i genitori sono rimasti in Afghanistan.

Oggi Amina è in procinto di ricevere il diritto d’asilo e ha un sogno: imparare quanto più possibile dall’Occidente per aiutare il proprio Paese.

Amina può dirci come ha vissuto in questi 26 anni a Kabul?

Ho trascorso i miei primi cinque anni di vita sotto il governo dei talebani e, anche se avevo solo cinque anni, frequentavo i corsi di nascosto. Coprivo i miei libri con la copertina del Corano. Dopo la sconfitta del regime in Afghanistan si era aperta una nuova fase della vita. Per me ma anche per tutte le altre donne. Si era instaurata una democrazia parziale, nella quale ero libera di portare avanti i miei studi senza alcuna restrizione. Sono riuscita ad avviare la mia carriera lavorando in progetti di sviluppo della condizione della donna. Con l’occupazione, invece, siamo tornati alle origini.

Come è riuscita a scappare da Kabul?

Dopo una settimana dall'ascesa al potere dei talebani in Afghanistan, ero tra i fortunati selezionati per essere tratti in salvo. In quei giorni l'aeroporto di Kabul era in pessime condizioni: tutti volevano lasciare l'Afghanistan e salvare la propria vita e quella dei propri familiari. Anche senza alcuna documentazione, come il visto o il passaporto. Ma non è stato facile passare il gate. Dopo tre giorni ed estenuanti tentativi ci sono riuscita con metà della mia famiglia: due fratelli e tre sorelle. È stato possibile farlo seguendo alcuni trucchi e segni specifici – ad esempio indossando la sciarpa rossa – che sono serviti per essere riconosciuti dagli eserciti italiani. Sfortunatamente il resto della mia famiglia era parte della folla e non ha potuto unirsi a noi.

Cosa sta succedendo ora in Afghanistan? Che cosa non sappiamo in Occidente?

L'Afghanistan è ora un luogo più oscuro. Niente in confronto a quello che viene mostrato. Ed è oscuro soprattutto per le donne che sono private dei diritti di base come l'istruzione. Neppure i media hanno la liberà di rappresentare come stanno davvero le cose nella mia terra. I militari, il personale delle ONG e quello governativo, compresi gli attivisti, sono torturati segretamente e lontano dalle telecamere e dai mezzi di comunicazione di massa.

Cosa le sarebbe successo se fosse rimasta là?

Affronterei la parte più difficile della vita. Non mi sarei mai sentita al sicuro e ogni volta mi sarei preoccupata per l’incolumità mia e della mia famiglia. Indipendentemente da ciò, poiché sono una ragazza, sarei in una gabbia. Privata di tutte le libertà fondamentali. Libertà che prima avevo. Con il mio attivismo ho sempre cercato di mostrare l'altro volto dell'Afghanistan intervistando le donne più coraggiose e che avevano avuto il coraggio di operare il cambiamento. Ma con il ritorno dei talebani al potere non potevo più nemmeno mostrare la mia vera identità e sono stata costretta a nascondermi.

Cosa accadrà alle donne sotto il regime talebano?

Le donne hanno già perso la voce e il diritto di lottare per le libertà fondamentali. Sono obbligate solo a tacere, a coprirsi e a seguire tutte le regole che vengono imposte loro.

Amina con le sue sorelle
Amina con le sue sorelle

E lei, oltre ai suoi genitori, che cosa ha lasciato in Afghanistan?

Ho lasciato la mia terra natale, il luogo dove ho trascorso la mia infanzia e in generale tutta la mia vita. In Afghanistan avevo custodito i miei sogni. Ma soprattutto ho lasciato la mia famiglia. Non è facile per me.

Ha mai avuto paura?

Sì. Ne avevo ogni volta che uscivo di casa, anche prima che arrivassero i talebani. Vivevo nell'incertezza costante. Nella paura di non rivedere più neppure la mia famiglia. Con l'avvento del regime la situazione è drammaticamente peggiorata.

È pronta a ricominciare in Italia?

Devo ricominciare da zero e questo mi fa paura. Ma per aiutare il mio popolo, e anche l’Italia, devo adeguarmi a questa nuova condizione di vita. Spero di poter proseguire con la mia istruzione e un giorno di poter essere in grado di aiutare le donne afghane in modi diversi.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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