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Amatrice: il diritto di piangere le vittime nel luogo del dolore

C’è un’enorme dignità nel rivendicare il diritto di contare e raccogliere le macerie e vigilarle per ciò che erano. Per questo la decisione di celebrare i funerali a Rieti (e soprattutto di spostare le bare) era violenta oltre che stupida. Lasciamo a Amatrice il diritto di ricostruirsi. E piangere.
A cura di Giulio Cavalli
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Non è una bazzecola quella di pretendere che i funerali delle vittime delle vittime di Amatrice si svolgano a Amatrice e non a Rieti come sconsideratamente deciso dalla Prefettura che poi, sotto la pressione dei sopravvissuti appoggiati da Renzi, ha dovuto fare marcia indietro. E non è nemmeno una questione di pelosa organizzazione di sicurezza, atterraggi di governo e nemmeno di condizione atmosferiche: il funerale a Amatrice è la prima pietra della ricostruzione.

L'antidoto al terremoto (e più vastamente alla disperazione) è la speranza, ma non la speranza che uccise Monicelli («la speranza è una trappola inventata da chi comanda» ebbe a dire il maestro) quanto piuttosto la speranza che mai come dopo un terremoto assume la forma tattile della ricostruzione. Dopo la paura, il dolore e la conta delle vittime un paese terremotato ha diritto di sentire, presto e bene, un vigoroso progetto di ricostruzione. La speranza post terremoto è un credibile progetto di rivivere (dopo essere sopravvissuti) nella propria comunità fedele alla memoria e progredita nella sicurezza.

L'altrove per gli abitanti di un paese terremotato è il sinonimo della resa e dell'abbandono: c'è un'enorme dignità nel rivendicare il diritto di contare e raccogliere le macerie e vigilarle per ciò che erano. Per questo la decisione di celebrare i funerali a Rieti (e soprattutto di spostare le bare) è violenta oltre che stupida: qui non stiamo parlando di un assembramento abitativo abusivo accrocchiato in cima a qualche montagna ma di comuni che la storia ha insediato qui. La differenza, attenzione, è sostanziale.

La decisione di Renzi di riportare il momento del pianto "a casa" è quindi una decisione pienamente politica poiché se la cura e l'attenzione si pesano dai gesti oltre che nei numeri gli amatriciani hanno avuto il sentore di essere confortati nelle proprie esigenze. I cittadini di Amatrice (e dei paesi vicini colpiti dal sisma) hanno la preoccupazione di dover diventare "altro" per ipotizzare un futuro; di doversi sbriciolare anche loro per radicarsi altrove. L'altrove è la soluzione peggiore che si possa prospettare a chi è accampato tra i frammento del suo passato.

Amatrice sarà scomoda da raggiungere per i funerali? Beh, ci si inerpicherà come hanno fatto in tanti per prestare soccorsi, ci si ingoierà tutte le curve che hanno dovuto affrontare le preoccupazioni di questi giorni e ci si sporcherà di polvere come i visi degli anziani e dei bambini.

A Amatrice pioverà? Beh, pioverà anche prossimamente quando le cerimonie saranno passate e le tende dovranno sopportare il fango.

A Amatrice non si riesce ad atterrare? Non si atterra. Semplicemente. Qui dove non si può ancora recuperare l'album delle fotografie rimasto schiacciato dal comò non si atterra. Semplicemente.

Rispettare il dolore. Appunto.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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