Amanda Knox condannata per calunnia, le motivazioni: dal memoriale contro Lumumba alle urla di Meredith
Il memoriale scritto da Amanda Knox il 6 novembre del 2007 dopo essere stata fermata per l'omicidio di Meredith Kercher “è un atto di accusa nei confronti di Patrick Lumumba”. È quanto scrive la Corte d'assise d'appello di Firenze che ha condannato per calunnia la donna americana (definitivamente assolta dall’accusa di omicidio della sua coinquilina dell’epoca) a tre anni di reclusione. Anni già scontati con i quasi quattro passati in carcere prima della sentenza di assoluzione per il delitto di Perugia.
Il memoriale scritto da Amanda Knox
Nelle motivazioni della sentenza i giudici hanno sottolineato che il testo "è stato redatto spontaneamente e liberamente come confermato dall'imputata". Amanda Knox fece il nome di Lumumba più volte in un memoriale scritto pochi giorni dopo il delitto e l'uomo venne arrestato. Rimase in carcere per 14 giorni fino a quando le indagini non rivelarono la sua estraneità al delitto Kercher e venne prosciolto su richiesta del pubblico ministero.
L’accusa a carico di Amanda Knox per la calunnia è stata riconosciuta in tutti i processi celebrati per l'omicidio compiuto a Perugia la sera del primo novembre del 2007. Divenne definitiva con la sentenza della Cassazione del 26 marzo del 2013 mentre poi lei e Raffaele Sollecito, nel 2015, vennero assolti dalla Suprema Corte "per non avere commesso il fatto". Sia Amanda Knox che Raffaele Sollecito – che all’epoca dei fatti avevano una relazione – si sono sempre proclamati estranei all’omicidio per il quale alla fine è stato condannato solo Rudy Guede.
La difesa di Knox – gli avvocati Carlo Dalla Vedova e Luca Luparia Donati – si sono poi rivolti alla Corte europea dei diritti dell'uomo che ha riconosciuto la violazione del diritto all'assistenza da parte di un difensore e e di un interprete negli interrogatori che precedettero il fermo della ragazza americana. Quindi si sono rivolti alla Cassazione per "ottenere provvedimenti necessari per porre rimedio alle violazioni".
La Corte ha così revocato e annullato la condanna per calunnia a Knox rimettendo gli atti a Firenze per valutare se il memoriale "contenesse dichiarazioni accusatorie nei confronti di Lumumba formulate nella consapevolezza della sua innocenza e tali da sostenere il giudizio di colpevolezza". Ha infatti ritenuto che quel testo "non poteva dirsi compromesso dalle violazioni ritenute dalla Corte Edu".
L'"urlo straziante" di Meredith Kercher: Knox consapevole dell'innocenza di Lumumba
"L'urlo straziante" di Meredith quando venne uccisa "è un fatto realmente accaduto" e una "circostanza puntualmente riportata nel memoriale" di Amanda Knox, "veritiera" secondo la Corte d'assise d'appello di Firenze. Secondo i giudici Knox "era perfettamente consapevole dell'innocenza" di Lumumba perché "si trovava all'interno della casa al momento dell'omicidio e quindi ben sapeva che lì non c'era". E "quell'urlo straziante che nel suo racconto le imponeva di portarsi le mani alle orecchie e di rannicchiarsi in cucina nel tentativo di non sentirlo è un fatto realmente accaduto".
Amanda accusò Lumumba "per uscire da una situazione scomoda"
E ancora, secondo la Corte Amanda Knox accusò ingiustamente Patrick Lumumba dell'omicidio di Meredith "per uscire dalla scomoda situazione in cui si trovava, accusando un innocente per porre termine alle indagini, reputandosi in una posizione delicata e non potendo prevederne l'esito".
L'americana era "l'unica delle coinquiline di Meredith Kercher presente a Perugia la sera dei fatti e con la disponibilità della chiave d'accesso all'abitazione nella quale è avvenuto l'omicidio".
Nelle motivazioni della sentenza di condanna si sottolinea che neppure nei giorni seguenti a quando scrisse il memoriale Knox "abbia chiarito agli inquirenti che Lumumba era estraneo alla vicenda, nonostante la consapevolezza dimostrata e il senso di colpa manifestato". "Il perdurare di tale atteggiamento segna una netta divaricazione dal comportamento volto alla collaborazione con gli investigatori, più volte rappresentato dalla difesa e dalla stessa imputata" sostiene la Corte.