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Aly Traorè, il primo presidente nero della squadra multietnica: “Siamo come fratelli”

Inseguendo un pallone è nata la squadra multietnica. È la storia di integrazione di Alì, primo presidente dell'”Asd Don Bosco 2000″. Il giovane maliano soffre le discriminazioni e l’odio razziale e si augura che lo sport possa essere unione tra i popoli. “Il calcio come integrazione, in campo nessuna differenza”
A cura di Francesco Bunetto
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È la storia di integrazione di Alì Traorè, migrante partito dal Mali e arrivato in Italia nel 2014. È stato il primo presidente di una società sportiva "ASD Don Bosco" di Aidone, comune siciliano nell'ennese. Alì è riuscito, insieme alla società, a creare una squadra multietnica di africani e italiani per favorire l'integrazione tra i due popoli. "Così la squadra è diventata un gruppo compatto e unito".

La storia di Aly. Da immigrato a presidente

Aly è un mediatore culturale ad Aidone, comune siciliano nell'ennese. È un giovane maliano, studente di Scienze politiche, partito dal Mali a causa della rivolta, arrivato in Italia nel 2014. È stato accolto dall'Associazione Don Bosco 2000 e ha iniziato il suo percorso di integrazione. All'interno delle attività di accoglienza era previsto anche lo sport e da lì ha avuto inizio la sua grande passione, il calcio. "Ricordo che veniamo a giocare nel campo sportivo tutti insieme – racconta Aly Traorè – e a poco a poco si è creato un legame tra migranti e italiani. Abbiamo avuto l'occasione si conoscerci attraverso il calcio, a superare le barriere della lingua e della paura. Cosi il calcio ha favorito l'integrazione tra i due popoli. Successivamente – continua Aly – mi è stato proposto di fare il presidente dell'Asd Don Bosco 2000″ e ho cercato, insieme a tutta la società, di creare un gruppo unito, una squadra multietnica che aiuti i giovani migranti a integrarsi con gli italiani e viceversa. All'interno della squadra ci sono tante etnie e diverse culture come maliani, nigeriani, senegalesi e dall'altra parte i ragazzi di Aidone, Piazza Armerina, cittadini di comuni dell'ennese. È stato un enorme successo perché, nel tempo, abbiamo vinto diversi tornei fino alla promozione. Si è creato un ambiente sano, e così, non ti senti più quell'immigrato emarginato, estraneo ma ti senti uno di loro. Ci siamo sentiti vicini, stessi spogliatoi, stesso campo – ha detto Aly – e abbiamo fatto in modo di trasmettere un messaggio chiaro, quello che non bisogna avere paura dell'altro ma avere qualcosa in più dall'altro".

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Fuori dal campo una realtà difficile

Aly è un ragazzo responsabile e coraggioso. Non si perde d'animo quando si parla di diritti e di lottare contro fenomeni razzisti o di caporalato. Il giovane Aly oggi è un mediatore culturale e aiuta i migranti, uomini, donne e bambini, a rientrare nei paesi di provenienza per creare opportunità di lavoro e fermare la migrazione forzata. Ha sofferto per la scomparsa di Said Visin, il ragazzo nato in Etiopia, adottato da una famiglia italiana e la sua sofferenza per le tante discriminazioni subite. "Li chiamiamo "invisibili" – ha detto Aly – sono persone che soffrono giorno e notte per qualcuno che è sopra di loro. Lavori che si svolgono dalla mattina alla sera, lavoro forzato con paga insufficiente. Di questo – continua – c'è ancora molto da fare. La politica cerca sempre di allontanarci e di dividere e quindi c'è sempre questo odio – conclude Aly – sono certo che quando uno conosce l'altro non c'è più odio e paura perché si conosce la realtà".

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