Alternanza scuola-lavoro, sono i giovani a chiedere di cambiare
Un tavolo e tre ragazzi. Anna, Paolo e Lucia partono da lì, da quel "L'alternanza scuola-lavoro non s'ha da fare" che rimbalza in ogni classe ogni volta che qualcuno si azzarda a tirar fuori la parola "stage". Un dibattito aperto che si divide tra chi ascolta le istanze dei giovani e chi, invece, "I giovani non hanno voglia di lavorare e questa è la sostanza e l'unica cosa che conta". Ma loro non ci stanno. E a parlare, per loro, c'è anzitutto la loro età. Sedici, diciassette, diciott'anni. La voglia di imparare e quella di darsi da fare per costruirsi una strada nel mondo del lavoro. Paolo, ad un certo punto, la butta lì. "Chi crede che zappare la terra sia un'esperienza formativa ha fallito nell'impresa di riuscire a capire i giovani". Gli fanno sì con il capo gli amici, praticamente coetanei, che nell'alternanza scuola-lavoro non hanno mai perso la fiducia.
Vent'anni o poco meno, la voglia di studiare in alcuni casi, quella di lavorare in altri. Ma in ogni caso, una condizione. Che Anna ha imparato quasi a memoria, ed è pronta a spiegare a chiunque glielo chieda. "Dall'alternanza scuola-lavoro pretendiamo vera formazione, non un abbozzo di stage". Lucia sorride, non ha mai smesso di farlo da quando quella conversazione ha avuto inizio. "Per una volta – rincara Paolo -, queste cose le dicono i giovani. Eppure le televisioni chiedono che siano i politici a dire ciò che non va sull'alternanza scuola-lavoro. Dico, i politici che non perdono l'occasione per fare di questa criticità della scuola, l'occasione per alimentare un po' di dibattito politico e di arcinota propaganda". Ad Anna si illumina il volto. Un eureka dei tempi nostri che viene immediatamente chiarito. "Ho la soluzione – tuona -. Se i percorsi di stage venissero sistematizzati una volta per tutte e divisi per scuole (il liceo scientifico può svolgere alternanza qui, lì e là), non si eviterebbero storie come questa e la parvenza (perenne) di essere giovani vaccinati, ma sfruttati?" Poche parole. Lucia porta avanti il suo silenzio meditativo. Gli appunti sul suo taccuino, però, parlano per lei. Raccontano la voglia di cambiare le cose. Dicono che i giovani, per una volta, sono disposti a credere nel cambiamento, ma solo se il cambiamento partirà dal loro punto di vista. E la domanda, adesso, è un'altra. Noi, noi tutti, sapremo ascoltarli?