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“All’ennesimo aborto ho chiesto di non vedere il monitor: la dottoressa mi ha costretta a guardare”

Monia è una donna di 46 anni con diversi aborti alle spalle. “Ho voluto raccontare la mia storia perché se è stato difficile per me superare degli aborti nonostante non si trattasse di interruzione volontaria, non oso immaginare a quali trattamenti inumani siano sottoposte le donne che lo fanno dopo una sofferta decisione”.
A cura di Natascia Grbic
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Se avete avuto difficoltà ad accedere all'interruzione di gravidanza, o siete state trattate in modo poco dignitoso per la vostra scelta, scrivete a segnalazioni@fanpage.it. Daremo voce alle vostre storie.

"Per anni ho provato ad avere un bambino. Rimanevo incinta, ma le gravidanze si concludevano tutte con un aborto. Quando al quarto mese sono stata ricoverata per mancanza di battito, sono stata messa in stanza con donne che avevano partorito. Io anche sono stata portata in sala parto, e accanto a chi stava per avere il proprio bambino c'ero io che gli stavo dicendo addio. Fu un giorno terribile, ero in stanza con una neomamma tra mazzi di fiori e urla di giubilo per il nuovo arrivato e io che dovevo lasciare andare quel cuoricino che non batteva più".

Sono passati diversi anni da questa parte della vita di Monia. Eppure ancora ricorda con dolore quello che le è capitato. "Ho voluto raccontare la mia storia perché se è stato difficile per me superare degli aborti nonostante non si trattasse di interruzione volontaria, non oso immaginare a quali trattamenti inumani siano sottoposte le donne che lo fanno dopo una sofferta decisione". Sono molte le donne che hanno raccontato di aver vissuto con sofferenza i loro aborti spontanei o terapeutici: non solo per il dramma capitato loro, ma anche per il trattamento ricevuto nelle strutture sanitarie. Alcune di loro si sono dovute scontrare con il muro dell'obiezione di coscienza, costrette ad andare all'estero per abortire. Altre sono state trattate in modo poco empatico o messe in stanza con donne che stavano partorendo, senza tenere conto della loro situazione particolare. Monia è una di queste.

"Ho 46 anni – ci racconta – Ho avuto un figlio nato cinque anni fa e arrivato dopo quattordici anni di ricerca della gravidanza, una diagnosi di endometriosi profonda e diversi aborti. Ho scoperto di soffrire di endometriosi a 34 anni con una diagnosi estremamente tardiva dovuta a errori di valutazione: quando avevo 13 anni i medici hanno derubricato i miei disturbi ad altro (la diagnosi preferita è stata stress)".

Monia ha subito quattro interventi chirurgici, tra cui all'intestino, all'apparato riproduttivo e urinario. Deve essere messa in menopausa farmacologica, ma prima il medico le dice di provare ad avere un figlio nel caso lo desiderasse. "Lo cercavamo da anni, ma continuavo ad avere solo test negativi. Prima di rientrare in menopausa farmacologica, ecco il positivo. Un sogno. Infranto all'inizio del quarto mese quando ebbi una micro perdita di sangue e la sentenza: non c'è più battito".

Monia viene chiamata diversi giorni dopo da una dottoressa che le dà appuntamento nella struttura ospedaliera per l'aborto. "Non sapevo come funzionava, non mi ha dato nessuna informazione. Sono stata portata in sala parto, e accanto a chi stava per avere il proprio bambino c'ero io che gli stavo dicendo addio. Fu un giorno terribile, ero in stanza con una neomamma tra mazzi di fiori e urla di giubilo per il nuovo arrivato e io che dovevo lasciare andare quel cuoricino che non batteva più. Avrebbero potuto mettermi in un'altra sala, ma non lo fecero. Fui trattata con freddezza, e dovetti poi andarmene alla chetichella così come ero arrivata".

Dopo una nuova menopausa farmacologica, Monia prova con la fecondazione assistita. "L'impianto fu di tre embrioni, ma persi anche quelli: niente battito. Feci una nuova ICSI, ma anche quell'unico embrione si trasformò in aborto. Dovetti fare altri interventi chirurgici, e poi arrivò un'altra gravidanza. Alla fine della nona settimana ebbi una perdita di sangue. Andai in pronto soccorso e chiesi con gentilezza e terrore insieme di poter non vedere il monitor e, nel caso di notizia negativa, di chiamare il mio compagno che era fuori la porta. La dottoressa rispose che la procedura voleva guardassi il monitor, mentre l'infermiera disse che non potevano chiamare il mio compagno perché non era una clinica. La ginecologa fece l'ecografia e non parlò. Io non guardai il monitor. Continuò il silenzio e poi mi disse di guardare: io guardai con gli occhi della speranza ma lei mi disse, solo a quel punto, che come potevo vedere non c'era battito. Non fecero entrare il mio compagno, anzi, mi esortarono ad uscire ed aspettare il foglio con la pillola da prendere per ‘fare riassorbire il tutto'. Uscii con un peso immane e dovetti direi al mio compagno che anche quella volta avremmo pianto invece che sorridere".

"Andammo a casa, era la mattina di Pasquetta e presi il medicinale che mi avevano dato. Mi avevano detto che avrei sentito ‘dei doloretti come quelli del ciclo'. Iniziai a stare male dopo poche ore ma la sera erano insopportabili: sentivo forti dolori e persi il mio piccolo feto nel water. Scivolò via, non lo vidi neppure. Un incubo che mi tortura tuttora a distanza di diversi anni. Dopo sei mesi rimasi incinta del nostro bimbo. Riuscii a vedere l'ecografia solo al quarto mese ma per fortuna trovai una ginecologa che capì la situazione. Grazie per dar voce a chi è negata".

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