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Olimpiadi Parigi 2024

Alle Olimpiadi del sessismo l’Italia è sempre medaglia d’oro

La schermitrice “amica della Leotta” è solo l’ultimo episodio di sessismo nel commento delle gesta sportive delle atlete: un riassunto di tutti gli epiteti irriguardosi per le donne nello sport. Mentre i maschi sono tutti “campioni” o “eroi”
A cura di Jennifer Guerra
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Ogni quattro anni, insieme ai giochi olimpici si consuma un’altra gara: quella al commento più fuori luogo e sessista della stampa italiana e dei commentatori olimpici. Parigi 2024 non è cominciata nemmeno da una settimana, ma i nostri atleti della parola ci stanno dando già grandi soddisfazioni, a partire dall’ultimo articolo di Repubblica che festeggia l’oro nella spada femminile a squadre. Alberta Santuccio, Giulia Rizzi, Rossella Fiamingo e Mara Navarria sono diventate “Le 4 regine: l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma”. Dopo le polemiche, il quotidiano ha modificato il titolo e l’“amica di Diletta Leotta” è diventata “la musicista”, ma la sostanza non cambia. Ancora una volta sportive di valore vengono ridotte a qualifiche o ruoli che nulla hanno a che fare con i loro successi nella disciplina.

È un vecchio vizio della stampa italiana: nel 2022, in occasione delle Olimpiadi invernali di Pechino, un articolo del Corriere dedicato alla vincitrice della medaglia di bronzo nel biathlon Dorothea Wierer titolava: “il marito, il mascara, l’uncinetto, i dolci (proibiti)”. Violetta Caldart, allenatrice della squadra italiana di curling, fu definita sulle stesse pagine una “coach-casalinga”. Il Messaggero Veneto descrisse Lara Gut, vincitrice svizzera dello slalom supergigante, come “Lara, moglie dell’ex Udinese Valon Behrami”, dando più risalto al marito calciatore che all’atleta olimpionica.

Già dalla cerimonia di apertura si poteva intuire che le cose non sono cambiate più di tanto, nonostante quelli di Parigi siano i giochi più paritari della storia, almeno in termini di numeri: 5250 uomini e 5250 donne. I commentatori Rai ridacchiavano di fronte alla parola “sororité”, sorellanza, durante il segmento della cerimonia che celebrava chi ha lottato per i diritti delle donne, sportive e non. Dal canto loro, gli organizzatori dei Giochi hanno provato anche a imporre delle regole. Gli Olympic Broadcasting Services, che si occupano della regia internazionale, hanno introdotto delle linee guida per le riprese delle atlete. “Purtroppo, in alcuni eventi le donne vengono ancora filmate in un modo che consente di identificare stereotipi e sessismo, anche dal modo in cui alcuni operatori di ripresa inquadrano in modo diverso gli atleti uomini e donne”, ha spiegato il direttore degli Olympic Broadcasting Services Yiannis Exarchos. “Le atlete non sono lì perché sono più attraenti o sexy o altro. Sono lì perché sono atlete d'élite”.

Ma per quanto possano essere rispettose le immagini, ci sono sempre le parole. Solo due giorni fa Eurosport Uk licenziava il telecronista Bob Ballard, che aveva fatto un commento inappropriato sul ritardo delle atlete australiane alla premiazione della staffetta 4×100 stile libero. Casi così eclatanti non sono mancati nemmeno in Italia: lo scorso anno, il cronista Rai Lorenzo Leonarduzzi e l’ex tuffatore Massimiliano Mazzucchi commentavano i tuffi sincronizzati femminili ai Mondiali di nuoto in Giappone con gravissime frasi sessiste e razziste. Per Leonarduzzi era stato avviato un procedimento disciplinare, terminato con la sospensione.

Il problema della narrazione delle atlete è però più spesso quello del cosiddetto “sessismo benevolo”, che sembra animato da buone intenzioni, ma contribuisce soltanto ad alimentare pregiudizi e stereotipi. Alle atlete italiane vengono dati nomignoli che si rifanno ai cliché della femminilità tradizionale come le “fate” della ginnastica artistica (non c’è un corrispettivo simile per la nazionale maschile) o le “farfalle” di quella ritmica. Il “Settebello” della pallanuoto maschile diventa il “Setterosa” femminile, con l’immancabile colore. Spesso le squadre femminili sono appellate come “ragazze”, contro gli “azzurri”, i “campioni” o addirittura gli “eroi”. È inoltre molto comune che le atlete vengano chiamate solo per nome, una prassi che affligge le donne che fanno notizia in tutti i settori.

Se poi un’atleta ha anche dei figli, i media italiani non vedono l’ora di ricordarcelo: la “mamma atleta di 39 anni” Mara Navarria (oro nella spada); Arianna Errigo, portabandiera e schermitrice, alle Olimpiadi “sfila da mamma”; Alice Sotero, che gareggia nel pentathlon moderno, viene chiamata sulla Gazzetta d’Asti “Alice nel paese delle meraviglie” e “mamma astigiana”. Sullo stesso giornale e nella stessa rubrica, queste le parole usate per un suo concittadino, il pallavolista Matteo Piano: “un campione nello sport e nella vita”, “un fuoriclasse”. Senz’altro la maternità è un aspetto importante nella vita di queste sportive, ma come scriveva Michela Murgia nel suo libro del 2021 Stai zitta, “evidenziare che in un ruolo di potere è arrivata una mamma […] rassicura tutti del fatto che mantiene la prevalente attitudine alla cura e che la estenderà a tutto il suo agire”.

Anche l’aspetto fisico continua ad avere un ruolo troppo ingombrante nel commento delle prestazioni sportive delle donne. Si saranno fatti passi avanti dal famoso titolo sul “trio delle cicciottelle” (la squadra italiana di tiro con l’arco alle Olimpiadi di Rio), ma anche in questo caso non bisogna esaltarsi troppo. Della velocista tedesca Alica Schmidt, che già si porta dietro l’inappropriato titolo di “atleta più sexy del mondo”, si esaltano le “curve sensuali”. Il match di beach volley Italia-Egitto è stato descritto come una partita in cui si sono sfidati “bikini” e “velo”.

Ovviamente commenti di questo tenore non esistono in un vuoto, ma vanno contestualizzati in un sistema mediatico che ancora sottorappresenta le donne in tutti i campi. Il “mammismo”, l’infantilizzazione, i cliché di genere e i commenti sull’aspetto fisico perseguitano anche tutte le donne che in qualche modo fanno notizia, come le scienziate o le politiche, ma la narrazione eccezionalista cui si presta lo sport amplifica ancora di più gli stereotipi di genere. Dal 2018 il Comitato olimpico internazionale stila delle linee guida sulla rappresentazione nello sport, che vanno proprio alla radice del problema: le atlete sono più del loro genere e ogni volta che il fatto che sono donne diventa più importante delle medaglie vinte o dei traguardi raggiunti nei Giochi siamo di fronte a una narrazione discriminatoria.

“Tutti gli individui hanno molteplici dimensioni che si intrecciano e caratterizzano la loro esperienza sportiva”, ricorda il Comitato olimpico. Se di questa esperienza viene raccontato solo il genere, la medaglia più ingombrante che l’Italia si porterà a casa da Parigi 2024 sarà quella del sessismo.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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