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Alessandra Matteuzzi uccisa a Bologna, ultime news

Alessandra Matteuzzi ha dovuto attraversare l’inferno prima di essere uccisa: il racconto dell’ergastolo a Padovani

Giovanni Padovani ha scelto di uccidere Alessandra Matteuzzi con lucida premeditazione, dopo averla ossessivamente perseguitata perché lei voleva lasciarlo. Cosa dicono i giudici della Corte di Appello di Bologna sul femminicidio del 23 agosto 2022.
A cura di Margherita Carlini
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Giovanni Padovani e Alessandra Matteuzzi.
Giovanni Padovani e Alessandra Matteuzzi.
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Lo scorso novembre la Corte di Appello di Bologna ha confermato la condanna di primo grado all’ergastolo per Giovanni Padovani, per l’omicidio pluriaggravato di Alessandra Matteuzzi, sua ex fidanzata, ricostruendo le modalità con cui ha scelto lucidamente di perseguitarla ossessivamente, di svilirla ed intimorirla e di punirla con la morte per aver scelto di lasciarlo.

La difesa di Padovani era ricorsa in Appello contestando la valutazione prodotta dai periti della Corte in rifermento alla capacità di intendere e di volere del Padovani, chiedendo di poter procedere con ulteriori accertamenti (una risonanza magnetica con mezzo di contrasto) e ne aveva contestato la sussistenza delle aggravanti. Nello specifico dell’aggravante della premeditazione, dello stalking e dei motivi futili e abietti.

La Corte d’Appello, rigettando la richiesta di procedere con ulteriori accertamenti, in considerazione del fatto che in ambito peritale era stata programmata una risonanza magnetica a cui il Padovani aveva poi scelto di non sottoporsi, per effettuarne successivamente una privatamente che avrebbe evidenziato la presenza di una cisti cerebrale, che non influirebbe comunque sulla capacità psichica del soggetto, confermava pertanto il giudizio circa la capacità di intendere e di volere già espressa dagli psichiatri.

Pertanto Padovani, valutato dai periti attraverso una complessa batteria di test e numerosi colloqui clinici, risulterebbe nel pieno della capacità di intendere e di volere, ma avrebbe simulato, nel corso delle valutazioni, risposte ed atteggiamenti con l’intento di fingersi instabile mentalmente. Manifestando pensieri autolesionistici, alterazioni del pensiero a carattere paranoideo e sintomi dissociativi solo a distanza di mesi dalla data di carcerazione, arrivando a sostenere di aver ucciso Alessandra in preda a delle voci che lo incitavano a farlo, voci che però, per sua stessa ammissione, provenivano dal suo cervello.

Dolorosa quanto dettagliata è la ricostruzione della Corta circa le fasi che hanno preceduto la morte di Alessandra per dimostrare la sussistenza delle aggravanti riconosciute già in primo grado.

In riferimento alla “progressione criminosa” che ha portato Padovani a perseguitare ossessivamente Alessandra prima di ucciderla, la difesa non contesta gli elementi emersi che risultano oggettivi ed incontestabili, ma sostiene che il Padovani fosse confuso dall’atteggiamento ambivalente di Alessandra, tanto da sentirsi esso stesso vittima di quella relazione. La Corte ritiene invece che i tentativi di riavvicinamento di Alessandra, per altro tipici ed indicativi della sussistenza di una relazione maltrattante, non possono alleggerire la responsabilità dell’imputato che ha scelto lucidamente di perseguitarla nonostante la donna avesse varie volte “comunicato il suo stato di prostrazione”.

Già nell’agosto del 2021 Alessandra riferiva a Padovani di essere “turbata” dal fatto che lui, vedendola on line nonostante lei gli avesse detto che sarebbe andata a dormire, l’avrebbe chiamata 22 volte per poi recarsi sotto casa della donna costringendola a un incontro. A febbraio del 2022, dopo che Padovani aveva ingaggiato tre investigatori privati per far controllare la donna (che avevano rinunciato all’incarico per l’atteggiamento del Padovani), l’aveva costretta a chiudere Facebook, aveva modificato le password di accesso agli altri profili social, le spiava il telefono, le chiedeva video che provassero di essere in un determinato luogo, Alessandra sceglie di interrompere la relazione.

Una frequentazione che riprende alle condizioni di Padovani, che pretendeva che la donna gli inviasse un video ogni dieci minuti inquadrando l’orologio per indicare l’ora e il luogo in cui si trovava, fino ad arrivare alla pretesa di una videochiamata ogni 15 minuti. Comportamenti persecutori che acuiranno con il tempo, tanto che Alessandra arriverà a confidare proprio alla madre del Padovani di aver paura di morire, una paura di cui riferirà al Padovani stesso circa un mese prima di essere uccisa.

“Subire questo tuo atteggiamento non mi fa stare tranquilla quando siamo io e te”. Un’ossessione persecutoria che l’aveva spaventata al punto da evitare di uscire da sola di casa, chiedendo aiuto a parenti e vicini, o anche alla Polizia per far allontanare Padovani. In riferimento ai motivi abbietti e futili la Corte sostiene che il Padovani, nelle sue piene capacità di intendere e volere abbia lucidamente scelto di appostarsi sotto casa di Alessandra, nascondendo un martello (quello con cui le avrebbe sferrato contro i primi colpi) in un cespuglio con l’intento di ucciderla perché lei aveva deciso di lasciarlo, ponendo in essere pertanto una condotta abietta ed ingiustificabile.

“Una condotta abnorme e sproporzionata in cui ha incanalato tutte le sue pulsioni negative di rabbia, dando sfogo alla propria incapacità di gestire la frustrazione”. Un movente, quello che ha armato la mano del Padovani che ha radici nella rabbia che l’uomo covava nei confronti di Alessandra, per vissuti che non sono mai stati in alcun modo comprovati (l’essere stato tradito, l’essere preso in giro o essere manipolato), una rabbia che l’uomo ha dimostrato nel corso di tutta la relazione anche attraverso le modalità dispregiative con le quali si riferiva a lei.

Apostrofandola come una poco di buono, che andava punita con il sesso, della quale aveva divulgato foto intime (ad insaputa di Alessandra) in chat che condivideva con amici. Altrettanto provata sarebbe la premeditazione, da una serie di condotte preparatorie poste in essere dall’imputato, come la nota del 2 luglio, rinvenuta nel suo cellulare in cui scrive “la uccido perché lei mi ha ucciso moralmente”, volontà esternata ad almeno due persone “io questo la uccido”, “lei non mi vuole più la ammazzo, la voglio ammazzare”, oltre alle ricerche effettuate in internet relative ad argomenti connessi ad omicidi “che pena c’è per uccidere una donna” e alla lista di cose da avere (martello, corda) e da fare per porre in essere un’aggressione.

Oltre al messaggio inviato alla madre “devi essere tanto forte adesso più che mai mamma” solo tre giorni prima dell’omicidio, mentre sta tornando dalla Sicilia a Bologna con il chiaro intento di uccidere Alessandra.

Un quadro di fredda e lucida preordinazione, quello ricostruito, che descrive l’inferno che Alessandra ha dovuto attraversare prima di essere uccisa, nel tentativo di autodeterminarsi da una relazione ossessiva ed abusante.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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