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“Ai genitori che insultano gli avversari dei figli sui campi di calcio: questo non è sport”

Fanpage.it riceve e pubblica la lettera di Marcella da Napoli: “Il calcio dei più piccoli è spesso rovinato dai genitori che dagli spalti incitano all’odio e pronunciano insulti e addirittura minacce di morte contro gli avversari e l’arbitro. Vi dico: questo non è sport. Questo non è gioco. Questa è la partenza per radicare nei giovani l’anti sportività degenerativa”.
A cura di Redazione
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Screen da video de "Il quotidiano del Sud".
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Riceviamo e pubblichiamo la storia di una nostra lettrice:

"Salve redazione di Fanpage.it, mi chiamo Marcella e scrivo da Napoli. Mi sono trovata molte volte sui campetti di calcio per assistere alle partite giocate tra bambini di età compresa tra i 6 e i 9 anni, e ragazzi un po' più grandi, quindi dai 12 ai 16 anni. La prima cosa che ho notato è stata la gioia immensa che i bambini ci mettono a rincorrere quel pallone, che lo fanno certamente per gioco, ma soprattutto per divertimento. A destabilizzare emotivamente e rovinare l'armonia del gioco è sempre l'accanimento che i genitori hanno verso i propri figli, o peggio ancora, verso gli avversari e che molte volte trascende addirittura nel razzismo, proprio come un fatto accaduto qualche giorno fa in Brianza, dove una mamma urlava dagli spalti "negro di merda" perché nella squadra avversario c'era un bambino di colore.

Ma questo non è sport. Questo non è gioco. Questa è la partenza per radicare nei giovani l'anti sportività degenerativa. Con questo comportamento non si insegna nulla di buono ai ragazzi, che sono in campo certo per disputare una partita, ma in primis per divertirsi, senza odio, razzismo, cattiveria o violenza. Uniti in campo solo per giocare. E sentire voci dagli spalti che urlano violenza o odio verso l'altro certo non aumenta la prestazione sportiva, ma sicuramente può accendere un sentimento negativo che magari non c'è. Il tifo e l'incitamento lo ammetto, ma le offese, la violenza, o gli insulti no!

L'accanimento non finisce qui, perché oltre ad esternarlo verso i giocatori della squadra avversaria, si estende in maniera esagerata nei confronti dell'arbitro, un ragazzo sempre della stessa età dei figli, che è lì per imparare (come i figli), fare esperienza (come i figli) e mettere in atto ciò che sta imparando frequentando il corso per diventare arbitro. Ho sentito parole ingiuriose, offese, addirittura mi è capitato di udire sempre dagli spalti e da parte dei genitori minacce di morte o addirittura mimare verso i figli gesti violenti nei confronti dell'arbitro. Intervenire in queste situazioni molto spesso è controproducente e non sempre funziona, perché purtroppo sei sola contro una massa di caproni e capre che pensano di giocarsi lo scudetto o la finale di Champions League in quella partita, che si atteggiano a grandi allenatori con chissà che enorme esperienza nel gioco, che credono di avere sempre ragione solo perché il loro figliolo è in campo a giocare.

Io sono di Napoli e parlo per quello che ho visto e sentito personalmente, ma queste cose accadono dappertutto: le cronache locali, da Nord a Sud, sono sature di episodi analoghi. Il calcio è un gioco, e tale dovrebbe rimanere. Forse se si inizia dalle piccole leve e dai piccoli campi, un giorno non molto lontano potremmo arrivare ad una tregua anche sui campi di gioco delle categorie di alto livello".

Per scrivere alla redazione di Fanpage.it: segnalazioni@fanpage.it

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