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Agrigento, usavano WhatsApp per segnalare autovelox e forze dell’ordine: 62 indagati

L’indagine è scaturita dal ritrovamento casuale del telefono cellulare di uno degli iscritti al gruppo WhatsApp denominato “Uomini immiezzu a via”. Il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Agrigento, Paola Vetro, ha notificato un avviso di fine inchiesta a 62 indagati, quasi tutti di Canicattì.
A cura di Susanna Picone
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Ha probabilmente perso lo smartphone e in questo modo ha messo nei guai l'intero gruppo Whatsapp "Uomini immiezzu a via" (in dialetto siciliano, "uomini in mezzo alla strada"). È dal ritrovamento casuale di un cellulare di uno degli iscritti al gruppo, infatti, che è partita l'indagine per la quale il pm della procura di Agrigento Paola Vetro ha notificato un avviso di conclusione dell'inchiesta a 62 indagati. Persone che tramite Whatsapp segnalavano la presenza di autovelox e posti di blocco delle forze dell’ordine. "Interrompevano e turbavano i servizi di controllo delle forze dell'ordine" attraverso lo scambio di informazioni, in maniera costante e coordinata, circa la presenza di posti di blocco sulle strade. Gli indagati sono quasi tutti di Canicattì (Agrigento), iscritti e partecipanti al gruppo WhatsApp "Uomini immiezzu a via", che si sarebbero avvisati a vicenda, facendo appunto veicolare le informazioni a terze persone, della presenza di uomini delle forze dell'ordine sparsi per il territorio e di autovelox.

Nella chat anche autisti di ambulanze o di mezzi di soccorso – Nella lista degli indagati, nei cui confronti si profila la richiesta di rinvio a giudizio o la citazione diretta, ci sono anche autisti di ambulanze o di mezzi di soccorso e camionisti. Tutti hanno tra i trenta e i quaranta anni ed erano stati precedentemente denunciati dagli agenti del locale commissariato per interruzione di pubblico servizio in concorso. Con l'avviso di conclusione delle indagini, gli avvocati difensori (fra gli altri gli avvocati Calogero Lo Giudice, Luigi Troja, Calogero Meli, Paolo Ingrao e Giovanni Salvaggio) potranno provare a evitare il processo producendo memorie difensive o chiedendo un interrogatorio dei propri assistiti.

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