Agguato con machete da 50 centimetri, il fratello di Pietro Costanzia: “Non sapevo fosse armato”
"Non sapevo che mio fratello Pietro avesse portato un machete", così il 22enne Rocco Costanzia si è difeso davanti a giudici del tribunale della Libertà per sminuire la sua posizione nell'agguato del 18 marzo scorso a Torino ai danni di un ragazzo a cui è stata poi amputata la gamba sinistra a causa delle ferite. Secondo l'accusa, lui era col fratello 23enne al momento dell'aggressione in strada, avrebbe accompagnato il fratello guidando in motorino e dunque avrebbe partecipato attivamente e allo stesso modo al tentato omicidio, al pari di Pietro Costanzia.
Per la difesa del 22enne, invece, il suo era solo il ruolo di accompagnatore per un “chiarimento” tra il fratello e la vittima dell'agguato. Secondo i legali non sapeva che Pietro Costanzia fosse armato e per questo hanno fatto istanza di scarcerazione al Tribunale della libertà contro il provvedimento restrittivo emesso dal Gip su richiesta della Procura. "Non sapevo che mio fratello Pietro avesse con sé un machete e non l’ho visto colpire" ha affermato infatti Rocco Costanzia.
Una affermazione contestata dall'accusa che ha portato in aula un machete della lunghezza di 50 centimetri del tutto simile a quello utilizzato il 18 marzo dal conte di Costigliole per aggredire il ventitreenne accusato di aver mostrato le parti intime alla sua fidanzata. Secondo i pm Mario Bendoni e Davide Pretti, infatti, era impossibile non accorgersi dell'arma.
Rocco Costanzia inoltre ha sostenuto di essere scappato a piedi dopo aver capito quanto era accaduto, separandosi dal fratello che sarebbe scappato in motorino. A sostegno di questa tesi l'avvocato ha mostrato ai giudici un'intervista di una tv spagnola a un testimone che aveva raccontato di aver visto la fuga separata dei due ragazzi. Per l'accusa, invece, i fratelli sarebbero fuggiti insieme in motorino, così come erano arrivati, e hanno portato a sostegno il racconto di due testimoni tra cui la fidanzata della vittima.
Per pm e gip nessun dubbio sul fatto che il rampollo della famiglia nobiliare piemontese abbia premeditato l'attacco e si sia fatto aiutare dal fratello "con lo scopo di colpire a morte la vittima, sorprendendola alle spalle mentre, indifesa, si trovava sulla pubblica via insieme alla fidanzata".