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Accusato ingiustamente di pedofilia e ucciso di botte: 19enne condannato per la morte di Sergio Faveto

È stato condannato a sei anni di reclusione Daniel Borsi, il 19enne genovese che nell’agosto nel 2022 – insieme a un ragazzo di 17 anni – prese a calci e pugni l’ingegnere informatico Sergio Faveto dopo averlo accusato di essere un pedofilo.
A cura di Davide Falcioni
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Daniel Borsi, il 19enne genovese che nell'agosto nel 2022 – insieme a un ragazzo di 17 anni – prese a calci e pugni l’ingegnere informatico Sergio Faveto dopo averlo accusato di essere un pedofilo, è stato condannato a sei anni di carcere. La vittima, 52 anni, morì all’ospedale San Martino del capoluogo ligure oltre un mese dopo a causa delle gravissime lesioni subite.

Il processo è stato celebrato con rito abbreviato, che consente di ottenere lo sconto di un terzo della pena. Il pubblico ministero Paola Calleri aveva chiesto per Borsi la condanna a dieci anni di reclusione per omicidio preterintenzionale; il giudice Giorgio Morando tuttavia ha valutato le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante dei futili motivi. Nelle scorse settimane fra l’altro il tribunale dei minori aveva disposto per il minorenne, A. C., assistito dall’avvocato Mario Iavicoli, 20 mesi di messa alla prova.

Faveto era stato malmenato la sera del 3 agosto e per le conseguenze di quelle lesioni era finito per due volte in ospedale, dove era morto a settembre. L'uomo, oltretutto, non era affatto un pedofilo (circostanza che comunque non avrebbe mai potuto giustificarne il pestaggio) ma soltanto una persona fragile ed estremamente sola. Quella sera di inizio agosto venne avvicinato prima da un vicino di casa che lo aveva immotivatamente accusato di pedofilia prendendolo a schiaffi. Per questo Faveto aveva chiamato subito il 112 per denunciare l’aggressione, ma poco dopo l’ingegnere era stato notato da una ragazza che lo aveva allontanato con lo stesso epiteto. Lui era andato via ma era stato inseguito da un gruppetto di ragazzini: aveva tentato di nascondersi in un portone e a chiamare di nuovo il 112 ma uno di loro lo aveva fatto uscire a forza e una volta in strada aveva cominciato a picchiarlo.

Scaraventato a terra, su di lui si era avventato anche l’altro giovanissimo, il minorenne, che lo aveva ripetutamente colpito con calci al petto. I ragazzini allertati dalle sirene dall’ambulanza e delle civette dei carabinieri si erano poi dileguati.  Non era stato facile per i militari, coordinati dal sostituto procuratore Paola Calleri, ricostruire con esattezza la dinamica di quella spedizione punitiva: i carabinieri tramite alcune testimonianze avevano individuato alcuni giovani del luogo che erano sul posto pur non avendo partecipato direttamente all’aggressione ma, come era emerso dall’ordinanza di custodia cautelare che aveva portato Daniel Borsi in carcere all’inizio di marzo di quest’anno, erano state soprattutto le intercettazioni telefoniche a consentire di ricostruire pezzo dopo pezzo la dinamica e i responsabili del pestaggio.

Dalle intercettazioni dei telefoni dei ragazzi, alcuni spaventati, altri meno, era emerso chiaramente quello che era accaduto:  “Praticamente quest’estate c’era sto presunto pedofilo che stava parlando con una ragazzina – racconta uno dei ragazzi al fratello – è arrivato un signore e gli ha dato quattro schiaffi. Poi sono arrivati sti tre ragazzetti e han detto ‘Oh guarda dov’è! E han cominciato a suonarlo”. “Si sono vantati di aver picchiato un signore che poi è morto – dice un altro giovane al padre che lo invita a dire tutta la verità ai carabinieri – raccontavano le cose perché finché non era morto erano tutti presi bene. ‘Stiamo dei grandi, l’abbiamo picchiato’ dicevano”.

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