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“118? Niente, ho ucciso mio marito”: la storia di Salvatrice, assassina insieme ai figli

“Pronto, per favore, dovete venire urgentemente. Niente, ho ucciso mio marito”. Così la notte del 15 dicembre 2018 Salvatrice Spataro avverte il 118 del massacro avvenuto nella sua casa di via Falsomiele, alla periferia di Palermo, dove ha ucciso il marito a coltellate insieme ai due figli maggiori. “Ci picchiava, vivevamo nella disperazione da anni”, dicono ai giudici. Oggi madre e figli sono rinviati a giudizio per omicidio volontario.
A cura di Angela Marino
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Salvatrice Spataro e i due figli
Salvatrice Spataro e i due figli

"Pronto, per favore, urgentemente dovete venire in via Falsomiele 138 P, P come Palermo". "Che è successo, signora?"."Niente, ho ucciso mio marito". Sono passati sei minuti dalla mezzanotte, è il 15 dicembre 2018 e nell'appartamento alla periferia di Palermo, nella camera matrimoniale, c'è il cadavere di un uomo di 45 anni coperto di sangue. I due figli di 20 e 21 anni sono in casa, uno di loro si tiene un braccio, è ferito, la mamma è preoccupata per lui, l'altro è invece è sconvolto, ma sta bene. Dalle tasche dei ragazzi spuntano due coltelli, di quelli con cui si squartano i maiali nei macelli. Un terzo coltello è sulla scena. È quello che ha usato la signora Salvatrice Spataro per accoltellare a sorpresa suo marito, quella che al 118 ha confessato candidamente di aver assassinato il padre dei suoi figli. Non ci provano nemmeno la moglie e i due figli di Pietro Ferrera, a negare quello hanno fatto.

Giunti in questura raccontano con disarmante semplicità di aver aggredito in tre il capofamiglia. Lo ha colpito alle spalle sua moglie mentre era disteso a letto, girato su un fianco. Poi, quando lui si è ribellato aggredendola a sua volta, sono intervenuti i due figli maggiori e lo hanno finito con 30 coltellate. I fratelli, due ragazzi di 11 e 16 anni, quella sera dormivano dai nonni. "In galera farò una vita migliore di quella che ho fatto finora", dice Salvatrice, piccola, stanca, sfinita. Quando escono dalla questura, un piccolo stuolo di parenti e conoscenti li saluta con un applauso. Un gesto agghiacciante chi vede tre assassini rei confessi, un gesto umano per chi guarda tre vittime. Alcune ore prima uno dei ragazzi aveva contattato la polizia per denunciare il padre per violenza e maltrattamenti. L'indomani sarebbero entrati in questura da denuncianti, invece quella sera ne uscivano in manette.

Per Salvatrice e i suoi figli Pietro era un padre-padrone, un violento che minacciava di sterminare l'intera famiglia, nonni e fidanzate dei figli comprese. Un tiranno che li picchiava (anche il figlio malato) e che li teneva a stecchetto centellinando i soldi. Un violento, che spegneva le sigarette sul corpo della moglie e che quella notte aveva preteso, come sempre, un rapporto sessuale dalla moglie. Tutto in quella casa, secondo i racconti dei familiari superstiti, era oppressione, violenza, degrado. “Bisogna inserire quanto è successo in una cultura medievale dove le parole parità, divorzio, separazione non esistono – si affretta a spiegare l’avvocato Maria Antonietta Falco che assume la difesa di Salvatrice e dei due figli – I racconti dei tre erano sconvolgenti. Possono riassumersi in tre parole: terrore, disperazione e violenza. Nel corso degli interrogatori ci guardavamo tutti sconvolti".

Ex militare dell'esercito in congedo anticipato per problemi psichici, Pietro Ferrera lavorava in un bar nel quartiere Ballarò, a piazza del Carmine, con i due figli. E come nella migliore tradizione, per i vicini quella era una famiglia normale, agitata da molte liti, quello sì, ma nessuno aveva pensato a quel macabro epilogo. E non sono solo luoghi comuni. "Sappiamo che una lettera come regalo non è abbastanza,- scrivevano i due ragazzi al padre qualche tempo prima –  ma abbiamo sempre pensato che delle belle parole scritte nel modo giusto, ma soprattutto nel momento giusto potessero bastare. Quello che vogliamo dirti oggi è grazie, quel grazie che non ti abbiamo ancora detto per averci aiutato a realizzare una parte dei nostri sogni, quel grazie che ti è dovuto semplicemente perché sei una persona rara, anzi, unica. E noi siamo fortunati ad averti. Ti amiamo papà".

Due bravi ragazzi, mediamente istruiti, incensurati, non hanno mai neppure preso una multa. Su di loro, anche per quella chiamata alla polizia in un passato senza neanche una denuncia, pende il sospetto della premeditazione, eppure il giudice conclude per un'accusa di omicidio volontario non premeditato. Madre e figli scelgono il rito abbreviato, consapevoli più che mai delle incancellabili colpe che ognuno si porta in quella famiglia, anche se nessuno gli leva dalla testa che tutto è successo ‘per colpa sua'.

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