“Abbiamo rischiato attraversando il Mediterraneo, non è vita questa”: viaggio nel Cas di Bologna
“È molto difficile chiamarla accoglienza”. Lorenzo Delfino è uno degli attivisti del Coordinamento migranti di Bologna: nel capoluogo emiliano, in via Mattei, c'è da anni uno dei più grandi centri di accoglienza della regione. Oggi è denominato Cas (centro accoglienza straordinaria), in passato è stato anche Hub e Cie (centro di identificazione ed espulsione) in base alle leggi e ai Governi del momento. Ma nella sostanza sembra essere un vero e proprio limbo per centinaia di stranieri arrivati in Italia con mezzi di fortuna e tasche vuote, se non fosse per i loro sogni di una vita migliore che rimangono per la maggior parte dei casi un miraggio. Sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie al limite della sopravvivenza e tempi di permanenza lunghissimi: le telecamere di Fanpage.it avevano già documentato la vita difficile in via Mattei già nel bel mezzo della pandemia, ma a distanza di anni la situazione sembra non essere cambiata. Anzi, nella struttura alla periferia della città, gestita da un consorzio di cooperative e circondata dal filo spinato sul retro, le cose forse sì, sono cambiate, ma sembra in peggio.
“Un posto come questo andrebbe chiuso” sottolinea il giovane attivista, elencando la lunga serie di problemi che attanagliano il Cas bolognese. Primo su tutti, il fatto che a fronte di una capienza massima di 250 persone, qui ce ne siano ben oltre seicento. Fino a qualche settimana fa si sfiorava addirittura quota ottocento ci raccontano, ma anche grazie alla continua mobilitazione del coordinamento e dell'Assemblea migranti del Mattei, in un giorno diversi pullman hanno portato alcuni di loro in altre città della regione, alleggerendo il carico di una struttura dove non c'è più posto, soprattutto dopo un'estate record sul fronte degli sbarchi lungo le coste italiane.
Per far fronte al numero in costante aumento di arrivi, la Prefettura ha ordinato il montaggio di una vera e propria tendopoli. “Ci sono almeno 12 persone a tenda, mentre in quella più grande almeno una cinquantina -continua Delfino-. Nei container invece ce ne sono anche fino a 14”. Il riscaldamento, manco a dirlo, non c'è. La corrente va e viene, quando piove in alcune tende filtra l'acqua e “la maggior parte dei migranti non ha calzature diverse da delle ciabatte. Non gli danno sufficienti vestiti per coprirsi dal freddo -dice ancora l'esponente del coordinamento-, la situazione è quindi di totale emergenza”.
Ma non è tutto. “I migranti denunciano che il cibo è di scarsissima qualità, ci hanno mostrato anche piatti arrivati con carne rossa completamente cruda, ed è poco per ciascun migrante. Allo stesso tempo però ne avanza tanto e piuttosto viene buttato, visto che a nessuno viene dato più della porzione ricevuta -dice ancora Deflino-. Qui ci sono centinaia di migranti anche da cinque mesi ma molti non hanno neppure lasciato le impronte digitali per avviare le procedure per la richiesta di protezione internazionale: dopo le nostre mobilitazioni qualcosa si è mosso, però invece di dare il modulo C3, che permette ai migranti di lavorare, avere alcune cure e provare a cominciare a costruirsi una vita, gli è stato dato un ulteriore appuntamento a febbraio prossimo per avere questo modulo, così dovranno restare al Mattei ancora per altri mesi, senza quei diritti base riconosciuti ai richiedenti asilo”.
Alcuni degli ospiti e membri dell'assembla confermano, seppur con la volontà di mantenere l'anonimato, la situazione. "Non c'è acqua calda" racconta uno dei migranti. "Vogliamo avere un'opportunità. continua. "Abbiamo sofferto per arrivare qui e ora che siamo arrivati non vogliamo vivere in questo modo" dice un altro. "La questione dei documenti è importante se ho un problema o mi succede qualcosa, o per la sanità, per lavorare. Per poter essere libero" sottolinea ancora un migrante.
Non è finita. La Questura, è la denuncia del coordinamento, cercherebbe di indirizzare le scelte della commissione territoriale deputata a concedere lo status di richiedente asilo, indicando nelle pratiche se il Paese di provenienza del singolo interessato sia considerato "sicuro" o meno, spingendo per il diniego.
“Gli ospiti del Mattei hanno diritto alla cura, ma il personale che ci lavora è poco, così molti hanno patologie che non vengono curate con tempismo” prosegue Delfino. È difficile parlare di accoglienza nel momento in cui i migranti vengono trattati in questo modo”.