A Torino arriva l’handbike sharing, il noleggio pubblico gratuito (attraverso registrazione e prenotazione, per la durata di tre giorni consecutivi) di biciclette che le persone con disabilità possono guidare pedalando con le mani. Un’iniziativa sicuramente lodevole dal nome [TO]Handbike, in collaborazione con APIS (Associazione Italiana Paralisi Spastica Onlus), il cui obiettivo è quello di fornire ai disabili un’alternativa per i propri spostamenti.
Peccato però che, quella che dovrebbe essere un’attenzione alla mobilità sostenibile, ha il sapore di una vera e propria mossa pubblicitaria e di marketing dal momento che, la stessa Città, sta negando il trasporto primario alle persone con disabilità. Trasporto che riguarda tutti, e non una minima parte di cittadini come l’handbike sharing, dal momento che non tutti sono in grado di utilizzare queste biciclette.
“La ditta Tundo – organizzazione che si occupa del trasporto delle persone con disabilità – ha bloccato i servizi alla mobilità per i disabili torinesi. Ad oggi non c’è più nessun mezzo disponibile nella città di Torino, quindi le persone con disabilità che lavorano, vanno a scuola o fanno visite mediche negli ospedali sono costrette a rimanere a casa, senza trasporto e senza assistenza.”
È questa la denuncia della “Consulta per le persone in difficoltà”. La Tundo, infatti, essendo in difficoltà finanziarie, da mesi non pagherebbe gli stipendi ai propri dipendenti, che per questo motivo hanno chiesto al Comune di pagare le mensilità arretrate al posto dell’azienda. La sindaca Appendino, ad oggi, non ha ancora dato una risposta alla negazione di questo diritto.
Così, da un lato ci sono gli autisti e gli assistenti della Tundo che, da settimane, chiedono al Comune di usufruire della norma del codice appalti che permette alla Città di pagare i lavoratori in appalto scalando successivamente la somma dai futuri versamenti alla Tundo; dall’altro c’è un servizio di hand-bike sharing, tanto osannato (e senz’altro all’avanguardia), che in questo caso però pare quasi voler spostare l’attenzione dai reali problemi, quelli primari e di tutti.
Perché una bicicletta, per quanto rappresenti un bel pezzo di libertà, non si potrà mai portare ovunque (ad esempio dentro un bar, nella pausa caffè), al contrario del supporto di un assistente che, realmente, riesce a fornire l’autonomia giusta per rendere un cittadino con disabilità realmente libero. Ecco, allora, che dovremmo ripartire da qui: dalle cose primarie ed essenziali.