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A Silvia hanno chiesto di aprire la partita Iva

A Silvia hanno detto di aprire la partita Iva, se vuole avere quel lavoro. È un personaggio di finzione, ma potresti essere tu. Ha la partita Iva, lavora ogni giorno, ma tra tasse e bassi compensi riesce appena a sopravvivere. Un incubo da cui non può più uscire.
A cura di Michele Azzu
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A Silvia hanno detto di aprire la partita Iva, se vuole avere quel lavoro.

A Silvia quel lavoro serve davvero, perché ha 28 anni, si è laureata da quattro anni in giurisprudenza, ha fatto l’Erasmus, parla inglese e francese, e in questi quattro anni ha fatto stage (gratis), tirocini (uno gratis e uno a 500 euro al mese), ha lavorato in nero come barista, e poi un anno di contratto determinato in una nota fabbrica di scarpe italiana. Ma il contratto non le è stato rinnovato, e ora sono già 7 mesi che non lavora. Per questo, a malincuore, è dovuta tornare in paese a vivere dai genitori.

“E apriamo questa benedetta partita Iva”, pensa Silvia. Non sa ancora che per potere aprire la partita Iva deve trovare un commercialista, a cui darà tra i 500 e i 1.000 euro l’anno per la dichiarazione dei redditi. Cercando su internet e chiedendo ad amici ne trova una non troppo lontano da casa che le chiede 500 euro. Non sa ancora che con l’aggiunta dell’Iva (sì, perché la sua commercialista ha partita Iva anche lei) quei 500 diventeranno quasi 700 euro.

Ora Silvia può accettare quel lavoro in azienda, e con 1.150 euro al mese potrà pagare quei 500 euro di debiti che ha, tra soldi chiesti ai genitori e alla sua migliore amica. E magari in due o tre mesi potrà tornare ad affittare una stanza in una casa condivisa nella grande città dove si è laureata e ha la sua vita. Ma non è così semplice: Silvia per i primi tre mesi non riceve stipendio, perché anche se spesso lavora direttamente dall’ufficio dopotutto non è una dipendente, e quindi deve fare fattura. Ma le fatture vengono pagate a 90 giorni. Insomma, per i primi tre mesi dovrà lavorare gratis, e chiedere altri soldi ai suoi per la benzina (oltre alla Punto in prestito, certo).

“Tre mesi e questo incubo sarà finito”, pensa Silvia. Potrà finalmente comprarsi un altro abito – quello che ha è ormai consumato dall’uso – un paio di scarpe, saldare i debiti, cercare una stanza. E invece no, ancora una volta Silvia sbaglia. Perché nel frattempo sono passati sette mesi, e arrivano le tasse a prendersi metà di quello che ha guadagnato nei mesi precedenti. Silvia, ovviamente, non è riuscita a mettere da parte nulla coi suoi 1.150 euro mensili, ma avendone incassato 4, e con le spese. Non basta: la commercialista vuole la prima rata del suo compenso: 350 euro. Silvia è disperata, deve pagare in tutto 1.200 euro.

Passano altri 5 mesi in cui Silvia si è un po’ ripresa. Ha pagato i vecchi debiti, ha pagato le prime tasse, la commercialista, è perfino riuscita a uscire, a comprato qualche vestito ed è riuscita a risparmiare: da due mesi ha trovato una stanza piccola a 350 euro al mese, in cui ha dovuto lasciare al padrone di casa 700 euro di caparra (due mensilità). Ora Silvia, però non ha nulla. Deve comprare le coperte (la mamma le ha dato un plaid e un set di lenzuola solo), una lampada per leggere la notte, il caricabatterie del pc che è vecchio di 5 anni e si è rotto. Le farebbe comodo anche una borsa nuova per lavoro, e siccome è ormai dicembre c’è da pagare coi coinquilini la revisione della caldaia e le prime bollette (già, perché uno dei vecchi inquilini è andato all’estero e non si sa se pagherà o no).

“Ho abbastanza soldi per fare tutto, e tra 20 giorni mi pagano la fattura di questo mese”, pensa Silvia. Che sbaglia ancora. Perché a dicembre c’è il secondo acconto di tasse da pagare: lo Stato vuole che paghi in anticipo di sette mesi una prima parte dei soldi che si presume guadagnerà l’anno prossimo (e non importa che Silvia possa perdere il lavoro). Silvia deve pagare subito, e senza poter rateizzare, 350 euro. Inoltre, la commercialista le ricorda che dovrebbe pagarle la seconda rata del suo compenso: altri 350 euro. Totale: 700 euro.

Silvia spende così tutto quello che aveva da parte. Torna a casa dei suoi già dal 20 dicembre per le feste, perché così risparmierà i soldi della spesa e eventuali uscite serali. Silvia non potrà comprare nulla questo natale, né fare regali. E deciderà di passare a casa coi genitori e gli zii il capodanno, mentre con le amiche voleva andare in viaggio a Barcellona. E per fortuna, perché con le festività e le ferie dell’amministrazione della sua azienda, la fattura di dicembre non le verrà pagata. Il che significa che quel pagamento slitterà di un mese, alla fine di gennaio, assieme alla prossima fattura.

“Un altro mese senza una lira, dovrò stare chiusa in casa dei miei anche tutto gennaio”, realizza finalmente Silvia. Che pensa al futuro e capisce di essere tecnicamente fregata: dovrà lavorare almeno un altro anno per poter riparare la situazione, per potere pagare le prossime tasse che sono solo fra sei mesi e che quest’anno saranno molte di più perché le chiederanno conto di un anno intero di lavoro, in cui lei, poi, non è riuscita a fare neanche un costo da detrarre, avendo pochi soldi.

Per i prossimi sei mesi, probabilmente un anno, Silvia non potrà fare nulla, se non lavorare ogni giorno 10 ore per pagare affitto, cibo e bollette per poter stare a casa a guardare la tv la sera (o meglio, le serie in streaming, che ci manca di pagare anche il canone Rai). Oppure l’alternativa: tornare a 29 anni – perché nel frattempo Silvia è alla soglia dei 30 – per l’ennesima volta a casa dai suoi, in paese, con la coda fra le gambe, dovendo aggiungere un’ora e mezza d’auto ogni giorno per andare al lavoro, e riuscendo a mettere da parte così sui 600 euro al mese.

“Buon natale Silvia, buon anno nuovo Silvia”, pensa guardandosi allo specchio, e sognando il giorno in cui tutto questo sarà finito e potrà avere una vita normale. Il giorno in cui potrà lavorare per guadagnare, e non per sopravvivere, in cui riuscirà a mettere da parte qualcosa ogni mese. E pensare a un mutuo, a un viaggio, a comprare un’auto, a non doversi più fare aiutare dai suoi. Ma forse, pensa Silvia, quel giorno non arriverà mai. Non con la partita Iva.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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