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“A causa degli obiettori di coscienza ci ho messo più di un mese ad abortire: mi sono sentita violata”

A causa dell’obiezione di coscienza e dei lunghi tempi di attesa, Anita ha abortito a dieci settimane di gravidanza, nonostante si fosse mossa diverse settimane prima. “È stato uno dei periodi più brutti della mia vita. Ero sola, ho 23 anni, e non ho una mamma né nessuno che potesse starmi vicino”.
A cura di Natascia Grbic
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Se avete avuto difficoltà ad accedere all'interruzione di gravidanza, o siete state trattate in modo poco dignitoso, scrivete a segnalazioni@fanpage.it. Daremo voce alle vostre storie.

Non si placano le voci delle donne che continuano a denunciare ciò che è capitato loro durante le interruzioni di gravidanza. A dimostrazione che l'aborto è ancora visto come uno stigma sociale da cui è difficile liberarsi, a voler raccontare la propria esperienza sono sia coloro che hanno voluto praticare l'Ivg, sia coloro che hanno abortito spontaneamente in seguito per gravidanze cercate e desiderate.

Anita è una ragazza che ha effettuato un'interruzione volontaria di gravidanza a Napoli il primo marzo 2024, "per scelta personale", ci racconta. Da quando ha scoperto di essere incinta ci è voluto più di un mese per poter abortire. Sul suo percorso ha trovato diversi medici obiettori di coscienza che hanno reso questo suo diritto un vero e proprio calvario. Tutto ciò ha pesato sulla sua salute psicologica, provandola molto: "È stato uno dei periodi più brutti della mia vita. Ero sola, ho 23 anni, e non ho una mamma né nessuno che potesse starmi vicino. Ci hanno messo più di un mese per farmi abortire nonostante gli avessi detto di essere molto depressa in quel periodo e che stavo pensando le peggiori cose".

Quando Anita ha saputo di essere incinta si è mossa immediatamente per avere il certificato per l'Ivg. "Alla notizia della gravidanza non sapevo come muovermi, quindi sono andata dalla mia ginecologa – spiega -. Lei prima mi ha fatto un'ecografia poi, nonostante l'avessi informata della mia volontà di non portare avanti la gestazione, ha insistito per farmi sentire il battito, senza il mio consenso. Tra l'altro non si è nemmeno sentito perché era troppo presto. Dopodiché, alla mia richiesta del certificato, unico motivo per il quale mi fossi recata da lei, me l'ha negato in quanto obiettrice di coscienza. Morale della favola, mi sono trovata a pagare 100 euro di visita e a non avere nemmeno il certificato che mi serviva".

Anita si è allora recata in ospedale a Napoli per avere il certificato e procedere lì stesso con l'Ivg. "Mi hanno detto che dovevo chiamare un numero dato da loro. L'ho fatto ma nessuno rispondeva. Sono dovuta tornare in ospedale a dirgli che dovevano rispondere al telefono. Al che, mi hanno dato appuntamento per la prima visita dopo due settimane. Ma a pochi giorni dall'ecografia mi hanno chiamata per dirmi che c'era stato un blocco e che non era più possibile procedere con loro. Mi sono disperata, ho girato tutta Napoli, trovando solo consultori chiusi e porte in faccia. Sono riuscita poi a prendere appuntamento con una clinica nel Casertano".

Dopo due giorni Anita viene nuovamente chiamata dall'ospedale di Napoli, che le dice che la situazione si era sbloccata e se voleva poteva procedere con loro. "Era più vicino a casa, quindi sono tornata lì. Quando sono andata a fare la visita mi hanno detto che ormai ero troppo avanti con la gravidanza per fare l'aborto farmacologico, e che avrei dovuto procedere per forza con il chirurgico. Mi hanno dato appuntamento per l'intervento dopo altre due settimane, abortendo così alla decima settimana di gravidanza il primo marzo 2024".

A causa della forte presenza di medici obiettori di coscienza, dei lunghi tempi di attesa e di una burocrazia elefante, Anita è stata costretta ad abortire al terzo mese di gravidanza. Un'interruzione che si sarebbe potuta fare immediatamente, quando era di appena 5/6 settimane, è diventata un'odissea che l'ha costretta a protrarre questo stato per oltre un mese. "È stato uno dei periodi più brutti della mia vita. Ero sola, ho 23 anni, e non ho una mamma né nessuno che potesse starmi vicino. Ci hanno messo più di un mese per farmi abortire nonostante gli avessi detto di essere molto depressa in quel periodo e che stavo pensando le peggiori cose. L’aborto in sé, per mia esperienza personale, è stata una scelta difficile. È già una cosa abbastanza pesante da affrontare, in più ci si mettono i tempi lunghi e gli obiettori di coscienza. Il problema non è stato l'ospedale, perché in fin dei conti sono stati abbastanza gentili, ma gli obiettori di coscienza, il sistema sanitario che non ti assicura nulla, e la totale mancanza di rispetto ed empatia verso le donne. L’aborto è un diritto inviolabile e io per più di un mese mi sono sentita violata".

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