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A Castelvetrano si applaude il cognato di Messina Denaro. Ancora

Succede a Castelvetrano, città simbolo del boss di Cosa Nostra (e latitante) Matteo Messina Denaro: in occasione di un funerale viene applaudito in piazza il cognato, Vincenzo Panicola, in permesso per lutto scortato dalla polizia penitenziaria. Un applauso vigliacco che celebra la codardia mafiosa di un cognome che spesso fa rima con mafia. E la notizia, che è terribile, non può passare inosservata. Cosa ne dice la politica? E cosa ne dice la Chiesa?
A cura di Giulio Cavalli
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A darne notizia per primo è stato il sempre curioso giornalista Rino Giacalone, che di mafia si occupa da una vita. Eppure succede. In continuazione. Come un'infezione che non si riesce a debellare e che fa paura raccontare. Questa volta accade a Castelvetrano, storica città natale del boss Matteo Messina Denaro, indicato da fonti investigative come il nuovo "capo dei capi" di Cosa Nostra. E nonostante spesso la politica locale si innervosisca per smentire qualsiasi "filo rosso" ancora una volta succede che un pezzo di città si inchini servile di fronte al suo famoso latitante.

È successo sabato scorso, 21 novembre, nel piazzale della chiesa a San Giovanni, in occasione del funerale di Lucia Bonanno. Il figlio della defunta, il quarantacinquenne Vincenzo Panicola, è arrivato scortato dalla polizia penitenziaria, in permesso per lutto nonostante una condanna di 10 anni di associazione mafiosa, e al suo arrivo è stato accolto da un lungo e caloroso applauso. Panicola è marito di Patrizia Messina Denaro, sorella del boss, e quell'applauso è il vigliacco omaggio per un uomo che meriterebbe se non il disprezzo almeno l'oblio. E invece, in quella piazza zeppa di mafiosi (c'erano anche le sorelle del boss Giovanna e Bice, anche quest'ultima condannata recentemente dal tribunale di Marsala) ancora una volta è andato in scena quel finto onore che non è nient'altro che una metastasi della paura.

Il cognato di Matteo Messina Denaro, del resto, è noto alle cronache non solo per la parentela con il boss, ma è anche figlio del defunto Vito Panicola, condannato per omicidio, uno che, tanto per dare un'idea della statura morale, è riuscito ad uccidere per sbaglio l'altro figlio Giovanni in un agguato mafioso. E Vincenzo Panicola ha subito lo scorso anno la confisca dei beni e le sue telefonate con la moglie Patrizia sono nei faldoni che hanno portato ad una sentenza di condanna anche per la sua coniuge. Insomma: una famiglia che andrebbe nascosta e andrebbe fatta nascondere per il suo curriculum criminale diventa comunque padrona di una piazza; tutto sotto l'ombra, ancora una volta, della Chiesa di Castelvetrano (che, ad ora, non ha preso posizione sull'accaduto) e della politica.

Non possiamo dirci un Paese civile finché non saremo in grado di confiscare ai mafiosi, insieme ai beni materiali, anche il rispetto, il timore reverenziale e la viscida stima di chi ostinatamente concorre alla riconoscibilità del potere di una famiglia. Se esistesse il reato di favoreggiamento sociale alla mafia sarebbe il caso di individuare e schedare uno ad uno i cittadini che per comodità hanno scritto una pessima pagina di cittadinanza. Applaudire un mafioso ha lo stesso rumore dello sbattere i piedi in una pozzanghera di sangue.

La domanda viene spontanea: ma se davvero dobbiamo essere pronti a riconoscere i terroristi, come si definiscono quei plaudenti? Cosa ne dicono la politica e la Chiesa? Siamo curiosi di saperlo.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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