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A 27 anni Stefano si suicida in carcere a Padova. La sua prof: “Abbiamo fallito, non dimentichiamolo”

Caso di suicidio al Due Palazzi di Padova: un ragazzo di 27 anni, originario di Chioggia, Stefano Voltolina, è stato trovato senza vita dai suoi compagni di sezione. Il racconto della sua insegnante, volontaria nella biblioteca del carcere: “Cosa posso dire adesso? Abbiamo fallito, come altre volte”.
A cura di Ida Artiaco
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Ennesimo suicidio nelle carceri italiane: questa volta a togliersi la vita è stato un ragazzo di 27 anni, Stefano Voltolina, trovato senza vita nella sua cella dai compagni al primo piano del Due Palazzi di Padova.

Stando alle informazioni disponibili, pare che Voltolina fosse recluso per resistenza e violenza sessuale. Originario di Chioggia, era arrivato a Padova a fine agosto, il fine pena era prevista per l'8 giugno 2028. Non era, secondo le autorità, un soggetto a rischio suicidiario. La sua vicenda è stata portata all'attenzione della stampa dall'Associazione Ristretti Orizzonti, che su Facebook ha condiviso il racconto di una volontaria di Granello di Senape-AltraCittà presso la biblioteca della reclusione Due Palazzi di Padova, Manuela Mezzacasa, insegnante, che per due anni alle scuole medie aveva avuto come allievo il ragazzo.

"L’ultima volta che l’ho intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a me nel corridoio con un agente, ma quando sono arrivata davanti al cancello erano spariti. L’avevo riconosciuto dalla camminata e dalla figura, piuttosto massiccia", comincia la lettera.

"In biblioteca – si legge ancora – invece mi avevano colpito lo sguardo e il modo di muoversi: erano arrivati in due, l’altro piuttosto sguaiato, lui taciturno, mi aveva fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi qualche frase e ci siamo riconosciuti. “Prof, ma aveva i capelli lunghi e biondi…” Già, e lui era un ragazzino molto speciale. Ci era capitato tra capo e collo all’inizio dell’anno, affidato a una casa famiglia del Villaggio S.Antonio, la scuola media dove inserirlo era la nostra. Alla prima riunione con l’équipe mi ero veramente arrabbiata: come potevano immaginare che saremmo stati in grado di gestire un caso così impegnativo… Mai frequentato regolarmente la scuola, nessuna idea di cosa fosse un qualsivoglia regolamento, ecc…ecc…Eppure… Anch’io sono scappata da scuola in seconda elementare, forse qualcosa mi avvicinava a lui, o era lui a farsi benvolere. È stato mio alunno per due anni, prima e seconda media, alla fine ce l’avevamo quasi fatta. Certo, ogni tanto usciva dalla classe e allora… inseguimenti per i corridoi e le scale, molto pericoloso, ma i ragazzi della Santini non si sono mai divertiti tanto. Decidemmo di essere sempre in due, per non dover abbandonare lui o gli altri; il preside stava in classe con noi nelle ore senza insegnante di sostegno. Poi l’abbiamo bocciato, devo dire così perché il voto è di maggioranza, ma ovviamente non ero d’accordo.Così l’anno dopo lui aveva perso i compagni, che nel frattempo gli si erano affezionati, e gran parte degli insegnanti".

Il racconto prosegue fino all'incontro nella biblioteca del carcere: "Tre volte è sceso in biblioteca durante il mio turno: abbiamo parlato, dei suoi progetti, la musica, la scrittura. Il secondo giovedì si interessò al concorso di poesia che stava per scadere; con la collaborazione di Enrico riuscimmo a spedire per il rotto della cuffia una poesia dedicata a una ragazza. Il ritmo era giusto, diedi solo qualche aggiustatina con il suo consenso, spero si possa recuperare.Il terzo giovedì mi portò tre fogli scritti a mano, con riflessioni filosofiche (se non sbaglio la settimana prima aveva preso un testo di Nietsche): volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Gli chiesi spiegazioni di varie espressioni, e lui mi diede le sue risposte. Stamattina, riguardando i fogli che lui insistette per lasciarmi, con mio marito concordammo che erano un collage di frasi selezionate da testi filosofici, quelle che lo avevano colpito, credo, in cui si riconosceva.Ci lasciammo con un piccolo progetto di lavoro a tre: Tiziano avrebbe raccontato le sue storie, Stefano le avrebbe scritte (“Io non me la sento di raccontare la mia storia”, “Ma non ti preoccupare, tu scriverai le storie che Tiziano racconta”, “Allora ok”), io avrei fatto il mio mestiere di correttrice. Mi piaceva, apriva una prospettiva diversa anche al mio ruolo lì dentro. Non l’ho più rivisto. Cosa posso dire adesso? Abbiamo fallito, come altre volte. Facciamo almeno qualcosa per non dimenticarcelo, il nostro fallimento. Di lui, di Stefano, io non mi potrò mai dimenticare", ha concluso.

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