Giuseppina Di Luca, 46 anni di Agnosine in provincia di Brescia e Sonia Lattari, 43 anni di Fagnano Castello in provincia di Cosenza, sono le ultime due vittime di femminicidio in ordine di tempo nel nostro Paese. L’escalation di violenza sembra non volersi fermare: nell’ultima settimana sono sette le donne assassinate dai propri mariti o dai propri ex, una media di una al giorno.
Stamattina Matteo Salvini ha chiesto nuovamente le dimissioni della Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha dichiarato: «il Governo non ha fatto nulla, come ormai è prassi nell’era Lamorgese. Cos’altro deve succedere per sostituirla con qualcuno di più capace?».
I numeri dei femminicidi e le dichiarazioni di Salvini e Meloni dovrebbero essere due notizie correlate ma non lo sono: i leader dei due principali partiti infatti non stavano commentando le morti di Giuseppina di Luca e Sonia Lattari ma il ferimento di diverse persone a Rimini da parte di un richiedente asilo di origine somala. Una notizia grave e che ha provocato dolore e spavento per cui viene chiesto l’intervento del Viminale, mentre tutto tace quando si parla di violenza di genere.
Non è una novità che Salvini e Meloni salgano sulle barricate solo quando i reati sono commessi da persone di nazionalità straniera mentre quando avvengono all’interno del nucleo familiare si limitano a qualche blando tweet e a una preghiera per le vittime. I distinguo non dovrebbero essere fatti in ogni caso: si dovrebbe badare alla gravità del reato, alle aggravanti, alle circostanze in cui questi delitti o questi crimini vengono maturati. A farlo, dovrebbero essere i giudici, le magistrature e le inchieste. Ma ormai siamo talmente abituati all’atteggiamento delle destre che non ci facciamo più caso, mentre dovremmo farci caso eccome, specie perché mentre gli esponenti di questi partiti chiedono conto dei distinguo che spesso vengono fatti dal centro-sinistra e dal Movimento 5 Stelle, questi ultimi raramente si assumono l’onere di chiedere conto a Salvini e Meloni delle loro dichiarazioni.
Il tema della violenza di genere compiuta quotidianamente verso le donne è una realtà con cui conviviamo e a cui sembriamo assuefatti. Eppure occorre ancora una volta che il femminicidio è solo la punta dell’iceberg: gli assassini spesso hanno precedenti per violenza sessuale, vessazioni di ogni ordine e grado, pedinamenti o stalking, tutti soprusi che vengono perpetuati o a danno della vittima di femminicidio o di qualcun altro, come nel caso di Chiara Ugolini, uccisa dal suo vicino di casa con gravi precedenti penali e che inneggiava al Duce sui social.
Paolo Vecchia, il marito di Giuseppina di Luca, non riusciva ad accettare la separazione dalla moglie e secondo alcuni testimoni avrebbe detto «mi prendo qualche giorno di permesso, devo ammazzare mia moglie e poi andare a costituirmi». E così è andata.
Era cosa nota a tutto il paese che Giuseppe Servidio, l’omicida di Sonia Lattari, aveva continui litigi con la moglie che sfociavano in insulti e violenze fisiche. La donna si sarebbe rivolta a un centro d’ascolto ma aveva declinato l’invito a denunciare per paura di ritorsioni da parte del marito.
I quotidiani di oggi dedicano ampio spazio al racconto di questi femminicidi ma ancora una volta si finisce per spostare l’attenzione solo sulle vittime.
Il Corriere della Sera nella sua newsletter per abbonati oggi scrive: “Ma il tema dei corsi di autodifesa gratuiti, che ogni tanto viene tirato fuori dalla politica, andrebbe forse riesaminato”. Sì, certo, riesaminato per poi essere scartato: come pensiamo di risolvere anche solo in parte il problema addestrando le donne a menare le mani? Forse semmai dovremmo insegnare agli uomini a non uccidere.
La Stampa sempre stamattina titola: “I femminicidi non finiscono mai. Sonia stava per denunciarlo, accoltellata dal marito”. La vittima non solo viene privata del cognome, ma viene sottolineato nel titolo il fatto che non abbia denunciato, come se la denuncia da sola bastasse a proteggere le vittime di violenza. Anche Repubblica titola: “Assassinate dai mariti altre due donne. Il pm: denunciate subito”. Non è bastata la triste vicenda di Vanessa Zappalà per capire che denunciare oggi, in Italia, con le leggi che abbiamo e con l’ormai acclarata impreparazione del personale giudiziario a gestire i casi di violenza, non solo non è garanzia di protezione, ma può essere addirittura controproducente per la vittima. Vanessa Zappalà aveva denunciato il suo assassino ma il giudice non aveva predisposto il carcere o l’uso del braccialetto elettronico. Vanessa Zappalà è stata uccisa a colpi di pistola dal suo assassino che poi si è tolto la vita. Per questo non è difficile comprendere il terrore di Giuseppina De Luca quando le è stato consigliato di rivolgersi alle autorità.
Questo non significa che le donne non devono denunciare, ma che se vogliamo che le donne denuncino lo Stato deve intervenire immediatamente con corsi di formazione per giudici, magistrati, psicologi, periti e con un serio piano di contrasto alla violenza di genere che deve partire dalle scuole di ogni ordine e grado.
Peccato che siano proprio i partiti guidati da Matteo Salvini e Giorgia Meloni a opporsi a qualsiasi forma di educazione sessuale o all’affettività per i nostri bambini e per i nostri ragazzi. Lo spauracchio della così detta “teoria gender” (che altro non è se non lo studio e il rispetto dei valori della diversità, dell’uguaglianza e della lotta a qualsiasi forma di oppressione legata al genere, al sesso e all’orientamento sessuale) viene tirato in ballo ogni qual volta si accenna a questo argomento.
Intanto le donne continuano a morire e a patire le conseguenze della violenza di genere sistematica senza che nessuno faccia davvero qualcosa, mentre i leader dei principali partiti di maggioranza e di opposizione impiegano il loro tempo (e il nostro denaro) a fare propaganda per le prossime amministrative.