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25 luglio / 9 settembre 1943: i giorni che hanno cambiato l’Italia

Dal 25 luglio, con le “dimissioni” di Mussolini all’8 settembre 1943, con l’annuncio di Badoglio ed il successivo sbarco alleato: la cronaca dei giorni che hanno deciso il destino del nostro Paese.
A cura di Pietro Cavallo
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Sono le 22,15 del 25 luglio 1943. La radio sta trasmettendo un programma di canzoni. La trasmissione viene improvvisamente interrotta e la voce metallica di Titta Arista annuncia le dimissioni del «cavaliere Benito Mussolini», sostituito dal maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. È una notizia sconvolgente. Lo testimonia la corrispondenza dei giorni immediatamente successivi: «Scrivo male perché sono un po' agitata e la mano mi trema». Molti italiani, ebbri di gioia, scendono in piazza a festeggiare. Torna la fiducia nel futuro e la speranza che le sofferenze della guerra avranno presto fine. È una speranza, però, destinata a scontrarsi con ostacoli che l'entusiasmo dei primi momenti ha rimosso, in primo luogo l'alleanza con la Germania. Si affaccia il timore di un'eventuale ritorsione tedesca: non passa inosservato il rafforzamento delle truppe di stanza in Italia. L'estate del '43 si avvia così a finire tra preoccupazioni, ansie e angosce crescenti. La guerra continua (è l’espressione usata da Badoglio subito dopo le “dimissioni” di Mussolini) e la presenza di truppe tedesche, sempre più visibile fa presagire l’imminente catastrofe: «ormai tutto sta per crollare», scrive il 3 settembre da Roma un uomo alla moglie ad Alessandria. Quarantacinque giorni dopo, alle 19.45 dell’8 settembre, è ancora la radio a sconvolgere gli italiani. Badoglio annuncia che è stato firmato un armistizio con gli angloamericani. In mancanza di direttive precise, l’esercito si sbanda. Magistrale la sequenza di Tutti a casa, film di Comencini del 1960, in cui il protagonista, il tenente Innocenzi [Alberto Sordi], oggetto con la sua pattuglia dell’attacco di soldati tedeschi, crede che questi ultimi si siano alleati con gli americani.

Mentre il re, Badoglio e il governo abbandonano la capitale, gli sporadici tentativi di resistenza (il più importante è a Porta San Paolo a Roma il 10 settembre) vengono sopraffatti dai tedeschi, che provvedono a occupare i punti strategici e a neutralizzare le truppe italiane. Lo Stato italiano si spappola: nel centro-nord Mussolini, liberato il 12 settembre da paracadutisti tedeschi (imprigionato in un albergo sul Gran Sasso a Campo Imperatore), dà vita alla Repubblica Sociale Italiana, stato fantoccio governato in realtà dai tedeschi; al sud sbarcano gli anglo-americani. Per la verità, un primo sbarco, piccola cosa, c’è già stato il 10 luglio in Sicilia, con Mussolini ancora alla guida del paese. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre si ha il vero sbarco, l’Operation Avalanche (Operazione Valanga). È l’alba del 9. A Castiglione del Genovesi Antonietta si precipita nella casa dove alcune famiglie salernitane hanno trovato rifugio e scampo ai bombardamenti che da giugno imperversano sulla città campana. Sono famiglie di «signori», legate tra loro da rapporti di parentela che Antonietta non ha ben decifrato. Ha capito però che il capo indiscusso è il Professore, anzi il Preside (nei mesi precedenti, qualcuno, venuto dal vicino capoluogo, ha chiesto rispettosamente di parlare con il «Preside»). Ed è a lui che Antonietta si rivolge, urlando con quanto più fiato ha in gola: «Preside, preside…currite… ‘o mare s’è cagliato ‘e navi!». Antonietta sta cercando di far capire, con un’immagine per lei familiare (suo padre fa un buon “fior di latte”), che l’acqua del mare è scomparsa, coperta come è di navi, così come, quando si prepara il formaggio, il latte si rapprende e finisce con l’assumere consistenza quasi solida. Uno spettacolo emozionante quello che si offre agli occhi di Antonietta e di molti altri spettatori. Nessuno ha mai visto così tante navi e così grandi nel mare che va da punta Licosa a Salerno. Carlo Carucci, uno dei tanti salernitani allontanatisi dalla città dopo i primi bombardamenti di giugno, nel suo diario alla data del 22 settembre ’43 riporta l’impressione del primo incontro ravvicinato con le truppe alleate: i soldati americani sono «giovani robusti, floridi, alti quasi due metri e, simpatici».

Non sono i “mostri” descritti dalla propaganda fascista. Disponibili, generosi, cordiali, si compenetrano nelle sciagure degli altri, mostrano persino di nutrire la nostra stessa fede religiosa. Negli anni del “ventennio” l'immagine degli Stati Uniti ha oscillato tra quella di un paese ricco, moderno e civile, e quella, cara soprattutto alla propaganda fascista, di un mondo dove il progresso presenta aspetti inquietanti di barbarie e violenza. Tante le Americhe degli italiani: quella di Al Capone, quella, mitica, degli strati più emarginati della società, costretti all’emigrazione, che vi vedono l'Eldorado, la ricchezza probabile, la felicità a portata di mano, il riscatto possibile. E quella affascinante,  arrivata in Italia per il tramite dei prodotti di consumo di massa, della musica, dei fumetti e dei romanzi polizieschi, del cinema soprattutto. Il 9 settembre ’43 l’America immaginata diventa l’America reale. Già dall'abbigliamento dei soldati si ha «una prima impressione di opulenza», nota nel romanzo Clotilde va alla guerra, scritto in forma di diario, Elena Canino. I bulldozer, che rimuovono le macerie, le jeep e tutti gli altri mezzi di cui l'esercito USA dispone colpiscono la fantasia e l'immaginazione. Un alone di leggenda viene a circondare le armate appena sbarcate. A prevalere è l’immagine del soldato che regala cioccolata, caramelle, sigarette e altri generi ormai introvabili. Solo gli Stati Uniti possono offrire, unici fra tutti i paesi della coalizione antifascista, quell'immagine di abbondanza e di prosperità capace di fugare le sofferenze e le privazioni patite per la guerra. L'America diventa così, ancora una volta, l'unica possibile via di fuga. Ancora una volta, soprattutto per i diseredati del sud, gli Stati Uniti rappresentano l'attesa di una promessa di un mondo migliore. Una promessa, una «buona novella» di cui sono portatori e testimoni i soldati americani, «così giovani, così belli, così ben pettinati… così eleganti, puliti, cortesi, sempre rasati di fresco, dalle uniformi impeccabili, dalle cravatte annodate con perfetta cura, dalle camicie sempre di bucato, dalle scarpe eternamente nuove e lucide» (Curzio Malaparte, La pelle). Ma “l’idillio” tra italiani e americani non durerà a lungo!

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Professore ordinario di Storia Contemporanea (M-STO/04) presso l’Università di Salerno. Attualmente, insegna Storia Contemporanea (laurea triennale in Scienze della Comunicazione) e Storia Contemporanea e Media Audiovisivi (laurea magistrale in Teoria dei linguaggi e della comunicazione audiovisiva). È responsabile scientifico del “Laboratorio di storia e media audiovisivi” presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Salerno.
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