Vi è un collaudato modo di dire tedesco che così recita: aller Anfang ist schwer. Letteralmente significa “ogni inizio è difficile”. La difficoltà del cominciamento è, da un certo punto di vista, doppiamente determinata. Comporta, potremmo anche dire, una duplice problematicità.
Il cominciamento è arduo perché, anzitutto, comporta la rottura con il passato, ancorché, nel caso specifico della fine dell’anno, tale passato riguardi un lasso temporale relativamente breve e corrispondente ai trecentosessantacinque giorni pregressi. La difficoltà sta nel prendere coscienza del fatto che si chiude un ciclo, buono o cattivo che fosse: e che, di conseguenza, quel che è fatto è fatto e, quale che fosse in concreto il suo valore, non può tornare.
La difficoltà del cominciamento risiede poi, in modo convergente e solo astrattamente disgiungibile, nel fatto che la chiusura del ciclo precedente comporta l’apertura di quello nuovo. L’inizio è arduo, dunque, giacché implica l’apertura del “novum”, il navigare in mari, con correnti e verso destinazioni che tendenzialmente non conosciamo e che, per ciò stesso, possono con diritto dirsi almeno in parte ignote. L’inizio ha, dunque, a che fare con la duplice dinamica dell’abbandono del vecchio e dell’apertura al nuovo.
Era anche per questo, credo, che Gramsci poteva dire, a suo tempo, di odiare il capodanno: cioè l’idea di un inizio a cadenza regolare, come se il cominciamento dovesse avvenire una volta solo ogni trecentosessantacinque giorni e, per di più, in un giorno preordinato. Forse ogni giorno della nostra vita dovrebbe configurarsi come un capodanno, ossia come un nuovo inizio: o, per riprendere quanto si diceva poc’anzi, come il distacco da ciò che c’era e l’apertura verso ciò che sarà.
È con questa consapevolezza, forse, che possiamo approssimarci all’anno che sta arrivando: senza troppa nostalgia per ciò che era e senza eccessivo timore per ciò che sarà. Invece, con il sobrio ottimismo di chi, progettualmente animato, desidera dare forma e sostanza alle proprie prospettive. Sempre senza dimenticare che ciò che c’è non è tutto e che il futuro, dopo tutto, è tutto da determinare.