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Nel 2015 record di morti sul lavoro: perché il governo non riconosce questo problema?

Tre istituti diversi dicono che nel 2015 sono cresciuti infortuni e morti sul lavoro. I controlli Inail scoperchiano una situazione di irregolarità allarmante. E il governo non fa nulla: sono i cittadini a mobilitarsi.
A cura di Michele Azzu
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I dati di tre diversi istituti concordano su un fatto: nel 2015 crescono gli infortuni e i morti sul lavoro. Lo denuncia l’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro di Carlo Soricelli, lo riportano i numeri dell’Anmil (associazione nazionale mutilati ed invalidi sul lavoro), così come i dati dell’Osservatorio Vega Engineering di Mestre. “I morti per infortuni sui luoghi di lavoro non sono mai stati così tanti da quando nel gennaio 2008 è stato aperto l’osservatorio”, commenta Soricelli.

Proprio Soricelli ha contestato più volte negli ultimi anni i numeri dell’Inail, che ogni anno riportano di un calo nelle morti – a differenza della crescita registrata dal suo osservatorio. Quest’anno non sembrano esserci dubbi: il 2015 è l’anno record per gli incidenti fatali. E forse non è un caso che questo accada proprio nel momento in cui le morti e gli infortuni sul lavoro sembrano essere completamente scomparsi dall’agenda politica.

PER LA PRIMA VOLTA I NUMERI CONCORDANO. Al 26 settembre l’Osservatorio Indipendente di Bologna ha registrato 510 morti sul lavoro nel 2015, ma il numero diventa di 1.030 se si aggiungono anche i morti “in itinere” (ovvero chi muore durante uno spostamento, o un viaggio, dovuto al lavoro). Con una crescita del 4.6% rispetto all’anno scorso, e dell’8.6% rispetto al dato di settembre 2008 (al 15 settembre). Per l’Osservatorio Vega di Mestre – che rielabora i dati dell’Inail – i morti sul lavoro registrati fino a luglio sono stati 472, più 171 in itinere, per un totale di 643. Un incremento del 9.5% rispetto al dato di luglio del 2014.

Per l’Anmil, invece, nei primi cinque mesi del 2015 ci sono stati 388 morti sul lavoro rispetto ai 358 del 2014: una crescita in questo caso dell’8.4%. Da maggio a settembre, insomma, nei dati di questi tre istituti diversi si registra una crescita importante rispetto all’anno scorso. “Vuol dire che se l’Inail ha avuto solo 662 morti nell’intero 2014 assistiamo a un aumento spaventoso”, spiega Soricelli. “I morti – continua il direttore dell’Osservatorio Indipendente – si sono solo trasferiti da categorie protette ad altre che non lo sono, o che hanno un’assicurazione diversa dall’Inail”.

I CASI RECENTI. Eppure la cronaca non smette mai di richiamare la nostra attenzione sugli incidenti, ogni giorno, dal nord delle aziende al sud dei cantieri portuali. Solo in Veneto i morti – questa volta la cifra è dell’Inail – sono 64 dall’inizio dell’anno. A Brescia l’Anmil conta 24 morti in sette mesi, di cui un terzo schiacciati dai trattori nel lavoro agricolo. Significa una crescita del 19% degli incidenti fatali rispetto all’anno precedente. A avere il maggior numero di morti, secondo l’Osservatorio di Bologna, sono la Lombardia (68) e la Toscana (54).

Ma in Sicilia a settembre è stata una vera e propria strage. Il 21 settembre il meccanico di 43 anni Antonino Lo Presti è morto a Lercara Friddi schiacciato da un’auto. Lo stesso giorno è morto anche Antonio Gangi, operaio del porto di 52 anni, caduto nel pozzo della stiva della piattaforma petrolifera Vega, a Pozzallo. Il 9 settembre nello stabilimento petrolchimico di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, sono morti due operai trentenni di un’azienda dell’indotto, cadendo in un pozzo. In questo petrolchimico già nel 2013 era morto un altro operaio della Isab Nord per una fuga di gas letale.

GLI INCIDENTI FATALI SI RIPETONO IDENTICI. Il fatto che il petrolchimico siciliano avesse già visto due anni fa una morte sul lavoro non deve sorprendere. In realtà accade spesso che gli incidenti fatali si ripetano quasi identici sugli stessi luoghi di lavoro, a distanza di pochi anni. È successo nei cantieri della metro di Roma, dove si contano due operai morti entrambi per la caduta in un pozzo: Bruno Montalti nel 2011 e Luigi Ternano nel 2012.

Incidenti fatali simili si sono ripetuti più volte negli stabilimenti ittici di Molfetta in Puglia, dove l’anno scorso sono morti due operai, padre e figlio, annegati tragicamente in una cisterna di liquami. Poco lontano da un’altra cisterna, quella della ditta Truck Center, in cui nel 2008 morirono cinque operai asfissiati dalle esalazioni tossiche. Incidenti simili fra loro sono capitati anche all’Ilva di Taranto, dove negli ultimi 4 anni si contano tre morti: Claudio Marsella di 29 anni, caduto dalla motrice. Francesco Zaccaria, 29 anni, portato via dalla tromba d’aria. Ciro Moccia, 42 anni, precipitato da 10 metri.

CONTROLLI E PROCEDURE D’INFRAZIONE. Viene da chiedersi perché. Perché gli incidenti fatali si ripetono uguali a distanza di anni nelle stesse aziende, e perché nel 2015 i morti sono così tanti. Sono le leggi a mancare, oppure è l’esecuzione dei controlli – in carico all’Inail – a non essere adeguata? Una nota stampa dell’Inail rilasciata lo scorso luglio riporta un dato preoccupante: “Nel 2014 i circa 350 ispettori Inail hanno controllato 23.260 aziende (il 72% del terziario, il 24% del settore industria), l’87,5% delle quali sono risultate irregolari. Le verifiche hanno portato anche alla regolarizzazione di 59.463 lavoratori, di cui 51.731 irregolari e 7.732 in nero”. La nota conclude: “confermata l’efficacia dei controlli”, ma non si può non rimanere colpiti da quanto alta sia la percentuale di irregolarità riscontrata dall’istituto, fra aziende e lavoratori controllati.

Dal lato delle leggi, poi, c’è l’annosa questione delle procedure d’infrazione dell’Unione Europea, che ogni anno bacchetta l’Italia per il mancato adeguamento alle normative comunitarie sulla sicurezza. Il Decreto Fare del governo Letta, ad esempio, è stato corretto lo scorso luglio con la legge n.115 perché non risultava conforme alle norme di sicurezza dei cantieri mobili. La denuncia era arrivata alla Commissione Europea dall’attivista Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico di Firenze, che già nel 2009 aveva denunciato all’UE i rischi italiani sulla de-responsabilizzazione del datore di lavoro e sulle tempistiche per redarre il documento sulla valutazione dei rischi (DVR) di una nuova impresa. Anche allora era partita la procedura d’infrazione.

È stato necessario che un privato cittadino, un attivista, si mobilitasse in proprio per segnalare queste irregolarità nelle leggi. Così come negli ultimi anni è stata l’attività volontaria di Carlo Soricelli e del suo osservatorio a scoperchiare il dato reale dei morti sul lavoro in Italia. Quest’anno, per la prima volta, i suoi dati combaciano con altri due istituti: morti ed infortuni sono in crescita. “Sono aumentati i morti in nero, in grigio, ma soprattutto nelle partite Iva individuali”, commenta Carlo Soricelli, che spiega sul suo sito come la crescita interessi particolarmente i lavoratori over 50, e come una gran parte sia dovuta agli incidenti coi trattori nel lavoro agricolo. Ma non basta: ci sono i controlli dell’Inail a rilevare una situazione allarmante di irregolarità nelle aziende.

Eppure, ancora oggi ogni passo avanti nel riconoscimento di questa emergenza viene fatto da privati cittadini, che portano avanti la battaglia per la sicurezza sul lavoro in forma volontaria e con tante difficoltà. Cosa serve ancora perché il governo riconosca questo problema?

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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