Vi avevo preannunciato che in queste settimane estiva si sarebbero avute numerose sorprese in Italia e in Europa e così è stato: oltre ai downgrade di Moody's del rating sovrano italianoprima e di quelli di decine di società, banche ed enti pubblici tricolori poi, dopo un sofferto via libera all’operazione di “salvataggio” del gruppo Ligresti da parte di Unipol Gruppo Finanziario (destinata a fondersi con Premafin, Fondiaria-Sai e Milano Assicurazione e dare vita a un nuovo leader italiano nel settore delle polizze Danni), che ha visto ieri l’avvio dei due aumenti paralleli da 1,1 miliardi di euro di Unipol e FonSai ma che potrebbe riservare ancora qualche colpo di scena visto che Premafin, il cui Cda è dimissionario, ha convocato per il 23 agosto un’assemblea straordinaria che dovrà valutare l’eventuale revoca della delibera di aumento di capitale del giugno scorso (da 400 milioni di euro, riservato a Unipol), è stata oggi la volta dell’assemblea di Impregilo di votare la revoca del Cda.
Revoca chiesta dal gruppo romano Salini (socio al 29,949%) con l’appoggio del fondo Amber (socio direttamente al 7,2% più un altro 1,2% indirettamente) e Nextam (0,3%) e osteggiata dal gruppo Gavio (29,959%) finora socio di controllo, che aveva fin qui potuto contare sul sostegno di Mediobanca (azionista per una frazione di punto percentuale, in assemblea dettasi contraria alla richiesta) e UniCredit (il cui vicepresidente, Fabrizio Palenzona, era stato nominato solo un mese fa presidente del gruppo di costruzioni in sostituzione di Massimo Ponzellini, finito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta sul suo operato come presidente del gruppo Bpm).
Alla fine dei conteggi i Salini hanno vinto con uno scarto minimo eleggendo un nuovo Cda capeggiato dal banchiere d’affari Claudio Costamagna (a lungo responsabile europeo di Goldman Sachs e di recente fondatore e presidente di Advise Only), mentre i Gavio hanno dovuto accontentarsi di nominare un consigliere di amministrazione (Giuseppina Capaldo) su 15 membri del Cda e sottolineare che la battaglia non finisce qui e che il gruppo tortonese si opporrà “con ogni mezzo al tentativo di spogliazione della società attraverso operazioni oblique con parti in macroscopico conflitto di interesse (ossia all’eventuale fusione di Impregilo con Salini, ndr), alla svendita di asset essenziali, all’uscita dal vitale mercato delle concessioni, operazioni realizzate al solo scopo di tentare di far fronte alle miracolose promesse fornite al mercato”.
Se il sistema Mediobanca appare sempre più scricchiolante, reggendo con fatica l’assalto di vecchi (Arpe e Meneguzzo) e nuovi nemici (i Salini, alle cui spalle qualcuno intravede la sagoma di Cesare Geronzi), quello che non sembra ancora cambiare sono certi vizi italici come le super retribuzioni ai manager e boiardi di stato. Sarà populismo ma, permettetemi, leggere che in attesa del più volte preannunciato, ma ancora non pervenuto, decreto sul tetto alle retribuzioni dei top manager pubblici dirigenti come Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, che per mantenere in vita l’impianto ex Fiat di Termini Imerese aveva puntato su un piccolo imprenditore come Massimi Di Risio (che dopo un anno di tira e molla non sembra avere la possibilità di rendere concreto alcuno dei progetti annunciati) abbia guadagnato nel 2010 727.170 euro lordi lascia a dir poco perplessi.
Così come suscita qualche dubbio il fatto che Vincenzo Dettori, vicepresidente di Fintecna (società in procinto di passare dal Tesoro alla Cassa Depositi e Prestiti nel tentativo di alleggerire i conti pubblici con qualche manovra di finanza creativa) abbia dichiarato 392.392 euro. Nell’uno come nell’altro caso sfugge il “valore” che i manager in questione abbiano saputo creare per i loro azionisti (in ultima analisi i contribuenti italiani, che pagano loro lo stipendio con le proprie tasse), così come è tutto da verificare l’apporto alla creazione di valore che può avere avuto Franco Bassanini, presidente della stessa Cassa Depositi e Prestiti che ha dichiarato per il 2010 un reddito di 567.262 euro, o l’ex commissario di Alitalia, Augusto Fantozzi (dimessosi dall’incarico a fine 2011), che ha potuto vantare, beato lui, un reddito complessivo nel 2010 di 3.686.272 euro. E l'elenco, ripreso dai quotidiani italiani, potrebbe continuare a lungo.
Solo per promemoria vale la pena di ricordare che secondo l’Istat nel 2011 l’11,1% delle famiglie è risultato relativamente povero (per un totale di 8.173 mila persone) e il 5,2% lo è stato in termini assoluti (3.415 mila). Per intenderci, la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, per l’Istat è pari a 1.011,03 euro al mese. L’incidenza della povertà relativa lo scorso anno è cresciuta dal 40,2% al 50,7% per le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro e dall’8,3% al 9,6% per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro (essenzialmente anziani soli e in coppia). Tra quest’ultime aumenta anche l’incidenza di povertà assoluta (dal 4,5% al 5,5%).
La povertà non è ugualmente distribuita nel Paese: a fronte della stabilità della povertà relativa al Nord e al Centro, nel Mezzogiorno si osserva un aumento dell’intensità della povertà relativa: dal 21,5% al 22,3%. In questa ripartizione la spesa media equivalente delle famiglie povere si attesta a 785,94 euro (contro gli 827,43 e 808,72 euro del Nord e del Centro). Il che forse aiuta a comprendere perché anche la stampa estera da qualche giorno parli di “tornare alle città stato” (lo fa il Wall Street Journal spiegando che per secoli tanto in Italia quanto in Grecia “la democrazia non è stata incompatibile con l’aristocrazia” mentre i due paesi non hanno mai funzionato come stati centralizzati) o della necessità di ripensare l’Europa “su una tela più piccola” (come immagina il Financial Times che ipotizza, in caso di fallimento dell’Eurozona, la nascita di un “nocciolino duro” composto dal Benelux, dalla Francia, dalla Germania e dall’Italia del Nord, che non si capisce bene peraltro come possa staccarsi dal resto della Repubblica, salvo un’improbabile secessione).
Qualche segnale positivo in un quadro che promette ancora molte novità e non tutte gradevoli c’è: secondo l’ultimo Bollettino Economico della Banca d’Italia, diffuso oggi, “in prospettiva, l’attività di revisione della spesa, insieme al contrasto all’evasione” potrebbe “consentire di ridurre le aliquote fiscali, specie sul lavoro, favorendo la ripresa”. Per Bankitalia sarebbero importanti in tal senso anche gli interventi preannunciati (ma ancora non operativi e secondo alcuni destinati a rimanere lettera morta ancora per diversi mesi) per accelerare i pagamenti dei debiti commerciali delle Amministrazioni pubbliche, così da ridurre i problemi di liquidità delle imprese creditrici sostenendo ugualmente la domanda.
Nell’insieme i provvedimenti varati dal governo sembrerebbero aver introdotto i primi mutamenti di carattere strutturale che secondo Bankitalia potranno incidere positivamente sulle capacità di crescita dell’economia italiana, con effetti che dovrebbero divenire più evidenti a medio termine. Non ci rimane che sperare che Via Nazionale si riveli un previsore affidabile e non solo un profeta che predica nel deserto. E magari che il governo Monti, che ha finora deluso chi come il sottoscritto si attendeva una maggiore capacità di tagliare le unghie alle mille lobbies del Paese, insista maggiormente sul tema dell’equità dei provvedimenti “lacrime e sangue” e trovi il modo di ritagliare qualche risorsa, a livello nazionale ed europeo, per la crescita. Non solamente per le foto ricordo a favore dei fotografi e dei giornalisti, naturalmente.